GIACOMO LEOPARDI (1797-1837)



INTRODUZIONE ALL’UNIVERSO DI GIACOMO LEOPARDI. 


Leopardi con la sua poesia ha trovato gli accenti più intensi per esprimere il male di vivere, ma è sbagliato considerarlo il poeta del nulla, quanto il poeta della vita.

Il dato primario dell‘esperienza leopardiana è un bisogno di pienezza vitale, di energia, di una vissuta nel pieno appagamento sensuale ed intellettuale: il pessimismo nasce solo come reazione alla delusione di queste aspirazioni profonde. 

La natura e la società soffocano il bisogno di felicità connaturato al genere umano.


Leopardi aveva una percezione molto nitida della situazione di inerzia, di qualunquismo e di declino in cui versava l‘Italia della Restaurazione. Soprattutto nelle sue opere in prosa, Leopardi si scaglia contro i luoghi comuni accettati nel suo tempo, contro i pregiudizi, le illusioni, le false credenze e gli stereotipi mentali; combatte l‘idea che il progresso materiale e tecnologico avrebbe portato pace e benessere, coglie i germi di quello che diventerà il consumismo, intuisce i pericoli insiti nella diffusione dei mezzi di comunicazione (a quel tempo i giornali).

Nell‘opera testamento intellettuale, la canzone dal titolo La ginestra, propone un‘idea di progresso fondata sulla più esatta considerazione delle debolezze del genere umano: gli uomini possono rendersi conto di essere tutti vittime di una natura crudele e maligna, cessare di contrapporsi con guerre e conflitti di ogni genere e aiutarsi reciprocamente, in un moto universale di fratellanza e generosità. 

Questo è il messaggio più alto che ci abbia mai potuto lasciare la poesia leopardiana.



LE LETTERE 

Di Leopardi ci è rimasto un folto gruppo di lettere, non scritte per o pubblicazione e per questo testi di straordinaria intensità. Le più significative sono quelle scritte diciannovenne a Pietro Giordani a partire dal 1817, un intellettuale già di grande fama e prestigio, più anziano di lui di 24 anni, sostituto della figura paterna, un confidente da cui ricevere consigli e incoraggiamenti che lo portarono a sopportare la solitudine e l‘isolamento. 

Un gruppo cospicuo di lettere è indirizzato al fratello Carlo e alla sorella Paolina, anime solidali con cui abbandonarsi alle confidenze più intime. 

Le lettere al padre rivelano invece un rapporto difficile e spesso tormentato: il reazionario Conte Monaldo era un uomo ideologicamente e culturalmente molto lontano dal figlio, bigotto, passatista, anche un po‘ ottuso.

Vi sono poi lettere destinate a importanti personalità della cultura, come Vincenzo Monti, Gian Pietro Viesseux, filologi con Louis de Sinner.



IL ROMANZO AUTOBIOGRAFICO

Nel 1819 Leopardi aveva concepito il disegno rinuncia romanzo autobiografico che pensava di intitolare Storia di un‘anima o VIta di Silvio Sarno. Il romanzo avrebbe dovuto essere incentrato sullo sviluppo di una vicenda intima. Lo scrittore accumulo quindi cari appunti in cui annotava velocemente esperienze infantili e adolescenziali, sensazioni e immaginazioni. Sono pagine suggestive dove vengono delineati temi, immagini e suggestioni poi ricorrenti nelle liriche del poeta.

La stesura è caratterizzata da una prosa rapida, gli appunti si susseguono come un flusso di coscienza, che si colora di una straordinaria modernità. 



LO ZIBALDONE

Le teorie filosofiche e letterarie vengono affidate a quell‘insieme di quaderni e diari che prende il nome di Zibaldone, una sorta di quadernino delle idee compilato quasi ininterrottamente da Leopardi tra l‘estate del 1817 e il dicembre del 1832. Giosuè Carducci ne curò la prima edizione a stampa.

La parola Zibaldone, di etimologia incerta, significa “mescolanza confusa di cose diverse”, o anche vivanda preparata con molti ingredienti, in riferimento alla varietà degli argomenti, distribuiti senza un criterio organizzativo, annotati giorno per giorno, a seguito di meditazioni e letture. 

Attraverso lo Zibaldone si può seguire un processo di formazione e di evoluzione di un sistema di idee.


Prima fase: volgarmente denominata PESSIMISMO STORICO


  1. La felicità si identifica con il piacere, l‘uomo desidera un piacere infinito. Ma siccome nessun piacere può soddisfare questa esigenza, nasce in lui un vuoto incolmabile nell’anima e dunque l‘infelicità. 
  2. L‘uomo è necessariamente infelice per la sua stessa costituzione, ma la natura ha voluto offrire una soluzione all‘uomo: l‘immaginazione e le illusioni.
  3. Gli uomini primitivi e gli antichi Greci e Romani erano più vicini alla Natura, quindi capaci di illudersi e immaginare. Il progresso della civiltà ha messo sotto i suoi occhi il “vero” e lo ha reso infelice.
  4. Gli antichi erano erano capaci di azioni eroiche, erano più forti fisicamente, la loro vita era più intensa e attiva. La colpa dell’infelicità presente è da attribuire all’uomo stesso, che si è allontanato dalla via tracciata dalla Natura Benigna. 
  5. Leopardi dà un giudizio durissimo sulla civiltà dei suoi anni, la vede dominata dall’inerzia e dal tedio, ciò vale soprattutto per l’Italia. 
  6. Ne deriva un atteggiamento titanico: il poeta come unico depositario della virtù antica, si erge solitario a sfidare il fato maligno che ha condannato l’Italia a tanta abiezione. 


Seconda fase: LA NATURA MALVAGIA o MATRIGNA


  1. Questa concezione di una natura benigna entra in crisi: la natura mira alla conservazione della specie e il male può rientrare nel piano della natura. È la natura che ha messo nell’uomo quel desiderio di infelicita infinita senza avere i mezzi per soddisfarlo.
  2. Leopardi propone quindi una concezione dualistica: natura benigna contro fato maligno. 
  3. Leopardi concepisce la natura non più come madre amorosa, ma come meccanismo cieco indifferente alla sorte delle sue creature: la sofferenza degli esseri e la loro distruzione  sono leggi essenziali.
  4. Questa concezione è meccanicistica e materialistica, la colpa dell’infelicità è solo della natura. 
  5. L’infelicità umana era prima concepita come assenza di piacere, ora l’infelicità è dovuta ai mali esterni. 


Terza fase: volgarmente denominata PESSIMISMO COSMICO


  1. Se causa dell’infelicità è la natura stessa, tutti gli esseri viventi sono necessariamente infelici.
  2. Ne deriva, in un primo momento, l’abbandono della poesia civile e del titanismo: vane sono la protesta e la lotta, non resta che la contemplazione lucida e disperata della verità.
  3. Subentra un atteggiamento contemplativo, ironici e rassegnato. Suo ideale non è più l’eroe antico ma io saggio stoico. 
  4. Ma la rassegnazione dinanzi a ciò che è dato non è propria dell’indice di Leopardi, in momenti successivi infatti tornerà un atteggiamento di protesta e di sfida al fato e alla natura. 


LA POETICA DEL VAGO E DELL’INDEFINITO

 La teoria del piacere, elaborata nel luglio del 1820, è un crocevia fondamentale e punto di arrivo della poetica leopardiana.

 Nella realtà il piacere infinito è irraggiungibile e la realtà immaginata ne costituisce una compensazione. Ciò che stimola l’immaginazione a costruire questa realtà parallela è tutto ciò che è vago e indefinito, lontano e ignoto. 

Si viene a costituire una vera e propria teoria della visione: è piacevole la vista impedita da un ostacolo, perché in luogo della vista, lavora l’immaginazione; e ancora: un filare d’albero si perde all’orizzonte, il gioco della luce lunare tra gli alberi, sull’acqua. 

Contemporaneamente viene a costituirsi anche una teoria del suono. Leopardi elenca tutta una serie di suoni suggestivi perché vaghi: un canto che vada allontanandosi, il muggito degli armenti, lo stormire del vento tra le fronde. 


Il bello poetico consiste dunque nel “vago e indefinito”, queste immagini sono suggestive perché evocano sensazioni che ci hanno affascinati da fanciulli. La rimembranza diviene essenziale al sentimento poetico. 


Maestri della poesia vaga e indefinita erano gli antichi: i moderni hanno perduto questa capacità immaginosa e fanciullesca. Egli, attraverso Madame de Staël, riprende una distinzione tra poesia d’immaginazione e poesia sentimentale. Ai moderni la poesia d’immaginazione è ormai preclusa.


LEOPARDI E IL ROMANTICISMO

La formazione di Leopardi era stata rigorosamente classicista e pertanto egli doveva inevitabilmente prendere posizione contro le tesi romantiche. Lo fece in due scritti:

  1. Lettera ai compilatori della Biblioteca italiana (1816)
  2. Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica (1818)

Le sue posizioni sono molto originali, consente con i romantici italiani nella loro critica al classicismo accademico, al principio di imitazione, all’abuso di mitologia classica, al rigido perseguimento delle regole formali. 

Allo stesso modo rimprovera agli scrittori romantici, la ricerca dello strano, dell’orrido e del truculento, rimprovera il predominio della logica sulla fantasia, l’aderenza al vero, che spegne ogni immaginazione. 

Ripropone dunque i classici come modelli, con uno spirito romantico. Si può parlare, nel caso di Leopardi, di un classicismo romantico, bisogna pertanto liberarsi dal pregiudizio che classicismo e romanticismo siano tendenze culturali antitetiche. 


Tra le varie forme poetiche, Leopardi privilegia soprattutto la lirica, intesa come espressione immediata dell’io. In questo Leopardi si contrappone alla scuola romantica lombarda, che tende a una letteratura oggettiva, realistica, fondata sul vero e che predilige forme narrative.


Leopardi è indubbiamente separato dalla cultura romantica, dal suo retroterra filosofico, illuministico, sensistico e materialistico. Però è vicino al Romanticismo per il titanismo, l’enfasi posta suo sentimento, il conflitto illusione-realtà, con la scelta del mondo dell’immaginazione contrapposto a quello della realtà, con la scelta del mondo dell’immaginazione, l’amore per il vago, l’idea della giovinezza come momento privilegiato dell’esperienza umana e il dolore cosmico. 


I CANTI




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