COME E PERCHE' HO COMINCIATO A STUDIARE FILOLOGIA MODERNA


Chi svolge il mio lavoro, mestiere che amo con ogni fibra del mio essere e in cui mi verso con grande dedizione, si trova spesso ad attraversare momenti di profonda frustrazione, soprattutto quando ci si trova a subire le decisioni e le scelte di persone verso cui non si nutre né stima, né simpatia intellettuale. Non ci si sente liberi di consigliare la lettura di un libro, di avanzare proposte in merito a possibili percorsi formativi, non sei padrone di decidere di organizzare per un classe di adolescenti una visita ad una mostra, la visione di una pellicola cinematografica, la partecipazione come pubblico ad uno spettacolo teatrale o a qualsiasi altro evento di natura culturale.
E fu così che cinque anni fa decisi, seguendo l'esempio di una mia carissima amica (che alla veneranda età di cinquant'anni aveva deciso di riscattare un buon numero di esami universitari, sostenuti presso la scuola superiore per interpreti e traduttori, e di conseguire la laurea in linguistica) di frequentare di nuovo l'università come se fossi un diciottenne che ha appena terminato la scuola secondaria di secondo grado. Solo adesso mi rendo conto che allora fu uno stratagemma per uscire da quel pantano di noia e mediocrità in cui ogni tanto tristemente sprofondavo.
Dal momento che avevo sempre nutrito un sentimento misto di invidia e ammirazione per tutti coloro che parlavano più di una lingua, l'opzione migliore si rivelò quella di iscriversi al corso di laurea in LINGUE E LETTERATURE MODERNE e, poichè non avevo mai sostenuto nemmeno un esame di lingua o letteratura inglese, sarebbe stato necessario passare un po' di tempo tra gli studenti e le studentesse della relativa Triennale dell'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" per sostenere gli esami su quegli insegnamenti che mi avrebbero consentito di certificare il conseguimento di una preparazione idonea a sostenere un percorso in Magistrale.
Fu così che, nel corso dell'anno scolastico 2016-2017, tre o quattro volte a settimana mi recavo a Villa Mirafiori, un elegante casino di caccia del XVII secolo, che sorge lungo la via Nomentana, ancora oggi adibita a sede della facoltà di Filosofia del primo Ateneo pubblico romano. Il primo anno di corso fu meraviglioso: nonostante la fatica e la mancanza di qualsiasi forma di vita sociale, ero assolutamente appagato dal piacere intellettuale che la frequenza ai corsi, le menti con cui interagivo, i contenuti che apprendevo mi donavano. In pochi mesi acquisii molte conoscenze sulla lingua di Shakespeare, sulle opere di Goethe, lessi una ventina di volte I dolori del giovane Werther, strappai un 27 all'esame di lingua tedesca I e il mio livello di competenze nella produzione orale e scritta in quella lingua si incrementò con una straordinaria facilità, con mia grande sorpresa e soddisfazione. La mia amica proseguiva i suoi studi, ogni tanto condividevamo racconti relativi alle nostre quotidiane esperienze nelle vesti di particolari studenti non "fuoricorso", ma bensì "fuoritempo", felicemente "fuoritempo". Sentivo che anche per il futuro sarei riuscito a conciliare efficienza sul posto di lavoro e risultati soddisfacenti all'Università. 
Ovviamente come tutte le storie che hanno un lieto inizio, la situazione di equilibrio cominciò lentamente a compromettersi già a partire dall'inizio del nuovo anno scolastico, quando il mio preside decise di sconvolgere i miei sogni di gloria con una nuova classe, con un nuovo orario, con nuove responsabilità, con una nuova (e ingiustificata) ingratitudine nei miei confronti e, soprattutto, con un nuovo studente con difficoltà di apprendimento da seguire, da aiutare, da sostenere, rigorosamente accompagnato da una situazione familiare deprimente, caratterizzata dalla presenza incombente di una madre pazza, sovrappeso, brutta e pericolosa, che giocava a fare la medium e si prendeva gioco della stupidità dei docenti del figlio, facendo pressioni affinché lo studente in questione fosse promosso solo in conseguenza della sua attività metabolica.
Le mie giornate, che una volta erano equamente animate da impegni lavorativi e momenti dedicate allo studio, alla formazione e alla crescita personale, si colmarono improvvisamente di ore trascorse di fronte al computer, discussioni sul sesso degli angeli, malafede, codardia, brutture morali, nichilismo culturale. Ero sempre stanco, depresso, con la borsa sempre così pesante di libri, che a fine ottobre inconsapevolmente arrivai persino a rompermi la clavicola destra. Il tessuto osseo cicatriziale che si formò era così aggettante ed evidente che qualche ortopedico ventilò l'ipotesi di qualcosa di molto più serio di una banalissima frattura e, per scoprire che non sarei morto per un condrosarcoma al terzo stadio , ui costretto a spendere una consistente somma di denaro, andare da solo in una clinica privata a Modena e sottopormi ad una dolora procedura di biopsia ossea. La ciliegina sulla torta fu quella di accettare le lusinghe di una persona malvagia, cha approfittò del mio lungo momento di fragilità emotiva per alleggerire ulteriormente i miei risparmi e rubarmi l'amore e l'amicizia. Non male come inferno, no? Insomma, senza che me ne accorsi smisi di studiare e al termine di quell'assurdo anno scolastico mi ritrovai a fare la fila in segreteria per inoltrare una rinuncia agli studi. Se pensate che adesso provi ancora odio o senso di rivalsa nei confronti di tutti coloro che hanno contribuito alla distruzione dei miei sogni e a rendere la mia vita un peso che non si può sostenere, sappiate che non è così. Certamente allora, tutte le volte che incrociavo il preside o il suo braccio destro con la gonna e i tacchi alti, immaginavo di avere in mano una pistola ad acqua o una torta ricoperta di panna e di sapere perfettamente cosa farne. Poi ci sono state altre cose che hanno riempito la mia vita, alcune belle, alcune brutte, altre bruttissime, come ad es. l'inizio del calvario di mia madre, ma fondamentalmente avevo la certezza di essere sopravvissuto ad un lungo periodo di tempo che avrebbe potuto avere un epilogo tragico e finalmente potevo concedermi qualche sospiro di sollievo. Sono sicurissimo che la cosa più bella in assoluto che mi capitò in quel periodo, il fattore x che mi aiutò ad alzarmi dal fondo in cui ero caduto e a risalire la china, fu aiutare la mia amica studente fuoritempo ad affrontare un'esame di filologia umanistica da sei crediti. Non che lei avesse bisogno di essere aiutata nello studio, ma, pur essendo una donna arguta e coltissima, non aveva frequentato da giovane una scuola secondaria che le consentisse di studiare almeno la lingua latina e pertanto non aveva alcuna cognizione in materia di lingue classiche. Fin qui nulla di straordinario, ma quando la risoluzione di un compito prevede la traduzione, la lettura e la comprensione del testo di una prolusione, in occasione dell'apertura dell'anno accademico del 1438 dello Studium Urbis al cospetto di papa Callisto III, scritta in latino medievale e pronunciata da Lorenzo Valla, capite bene che le capacità cognitive da sole non sono sufficienti alla risoluzione del medesimo, senza una propedeutica conoscenza della grammatica latina. 
Fu così che aiutai la mia amica Emanuela a tradurre il discorso di Lorenzo Valla, trascritto in una elegante grafia umanistica in uno degli innumerevoli codici manoscritti miniati conservati nella copiosa Biblioteca Apostolica Vaticana. Rispolverai il famigerato dizionario latino-italiano, italiano-latino Campanini Carboni, gentile dono di mia cognata Sandra, che ebbi modo di utilizzare quando frequentavo la quarta ginnasiale. Soltanto annusare l'odore di acaro della carta mi risvegliò proustianamente tanti ricordi, memorie di un tempo felice e spensierato, gli anni del liceo, quando andavo a scuola con il sorriso sulle labbra, quando tutte le mie energie si concentravano solo su quello che desideravo scoprire e imparare, quando tutti i miei problemi esistenziali si riducevano ad una delusione d'amore, ai brufoli sulla fronte, alle incomprensioni con mio padre.
Non mi limitai a tradurre testi dal latino, feci una sintesi delle più di 120 pagine di dispense in fotocopia che Emanuela aveva in bibliografia per l'esame, mi infarcii la testa di parole come archetipo, antigrafo, errore poligenetico, ecdotica, testimone maniscritto, editio princeps, stemma codicum. Quella fiamma, quella passione ardente che credevo spenta si riaccese senza che me ne accorgessi in due giorni di studio "matto ed entusiasta".  Nei giorni successivi meditai a fondo sui tanti progetti che fiorivano con naturalezza nella mia mente, consultai i siti di diversi atenei, valutai curricula, distanze, orari, obblighi di frequenza. A settembre partecipai alla selezione per accedere al corso di laurea magistrale LEFILING - indirizzo filologico L-14 presso la macroarea di Lettere e Filosofia dell'Universita degli Studi di Roma, Tor Vergata. Il 25 settembre del 2018 due docenti, a cui sono tuttora legatissimo e che sono i miei punti di riferimento nel presente e per l'immediato futuro, mi comunicarono che ero stato ammesso senza alcun debito formativo, avrei dovuto soltanto pagare la tassa di iscrizione e immatricolarmi. 
Nel momento in cui scrivo questa pagina di Diario è la sera del giorno in cui ho sostenuto un ennesimo esame superato con un bel trenta e lode. Mi mancano ancora 18 cfu e la discussione della tesi di laurea e poi avrò forse la possibilità di fare un dottorato di ricerca, attraverso cui vorrei sviluppare un progetto che accarezzo ormai da un paio d'anni. Ne parlerò sicuramente quando sarò a pochi passi dalla meta finale. Per ora, soltanto un immenso grazie Emanuela.

PS. L'esame della mia amica andò benissimo, lo preparò in dieci giorni e, quando uscì dallo studio della docente esaminatrice, mi guardo e mi disse sorridendo: "Complimenti, Dino, hai preso un bel trenta! Mi dispiace soltanto che la professoressa non ti abbia dato anche la lode".

Commenti

Post più popolari