PASCOLI PIETRA MILIARE DELLA POESIA DEL NOVECENTO?




L’oggetto della tesi di Pierpaolo Pasolini fu la realizzazione di una antologia di poesia pascoliana, corredata dall’apparato critico e dal commento del giovane autore, che precocemente esperto e disinibito nel giudizio estetico delle liriche che aveva raccolto arrivò in alcuni casi a porsi in totale antitesi nei confronti delle considerazioni espresse da Benedetto Crocevi. Pasolini sostiene in ogni occasione che la lirica di Pascoli ha costituito un paradigma poetico e linguistico per i poeti che programmaticamente o meno aderirono a movimenti avanguardistici come il Crepuscolarismo e l’Ermetismo, come Ungaretti, Govoni, Saba e Montale. La selezione del poeta si concentrava fondamentalmente sulle raccolte dal titolo “Myricae” e “I Canti di Castelvecchio”, escludendo dal risultato finale le composizioni inserite nei “Poemi conviviali”vii.
Questa breve discussione intorno alla patente di pietra miliare della poesia del XX secolo, di cui si fregerebbe l’intera opera poetica del Pascoli, intende proporre l’analisi di una poesia inserita nella selezione di testi pascoliani all’interno di uno dei manuali di letteratura italiana più utilizzati nei licei e negli istituti di istruzione secondaria come supporto bibliografico per lo studio della storia della letteratura italiana del Novecento. Lo scopo è quello di stabilire se la prospettiva critica di Pasolini possa essere stata alla base della scelta delle opere di Pascoli più rappresentative della sua poetica all’interno del manuale preso in considerazione di cui il primo autore è Guido Baldiviii. Pertanto abbiamo deciso di canalizzare la nostra attenzione sulla lirica dal titolo L’assiuiolo, che venne compresa dal suo autore nella quarta edizione (1897) della sua prima importantissima raccolta poetica dal titolo Myricae; abbiamo deciso di selezionare questo componimento in quanto i compilatori del manuale ne hanno prodotto una dettagliata presentazione, molto probabilmente perché ritenuto esemplificativo della poetica e della cultura di Giovanni Pascoliix:

Dov’era la luna? ché il cielo 
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo 
parevano a meglio vederla. 
Venivano soffi di lampi

da un nero di nubi laggiù,
 veniva una voce dai campi: 
chiù...

La prima strofa si apre con un interrogativo, il poeta cerca la luna e insieme a lui le personificazioni del mandorlo e del melo si uniscono nel tentativo di scorgere il corpo celeste. La luna ha una simbologia molto potente nella storia universale della poesia, ogni volta che viene citata è sempre qualcosa che va aldilà di una connotazione paesaggisticax. Senza interrogarci troppo sul valore
semantico che assume in questo specifico contesto, la domanda più urgente è: perché il poeta cerca la luna? Perché ha bisogno di visualizzarla all’interno del suo campo visivo? è forse la constatazione della condizione di sradicamento rispetto a una tradizione lirica più che millenaria? Dal punto di vista linguistico è possibile evidenziare l’accento tonico sul ché del verso 1 come elemento discriminante, che qui contribuisce a distinguere il connettivo che introduce la subordinata causale esplicita dal pronome relativo, la mancata dittongazione della vocale della sillaba pretonica nella forma verbale notava come tratto velatamente demotico, come poco raffinata suona la finale implicita costruita con la preposizione “a” seguita da infinito ( v. 4: a meglio vederla), e la specificazione delle specie arboree (il mandorlo e il melo) senza ricorso ad un generico iperonimo. Dal punto di vista retorico si può evidenziare una sisnestesia e un parallelismo concentrate tra i versi 5 e 6 (soffi di lampi...nero di nubi). Da notare infine che in questa prima strofa prevalgono le sollecitazioni visive, i colori, le sfumature con cui il poeta disegna il paesaggio che fa da scenografia alla vicenda lirica.

Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte: 
sentivo il cullare del mare, 
sentivo un fru fru tra le fratte, 
sentivo nel cuore un sussulto, 
com’eco d’un grido che fu. 
Sonava lontano il singulto: 
chiù...


In questa seconda sequenza della narrazione poetica varia la dimensione temporale, è ormai notte e le stelle si intravedono nell’oscurità della notte; l’io lirico comincia a percepire i primi suoni. Al livello linguistico si nota una maggiore commistione stilistica, caratterizzata dalla coesistenza nella medesima strofa di forme nominali sicuramente più ricercate come singulto (v.15) e sussulto (v.13) e scelte linguistiche decisamente meno prestigiose come il curioso pleonasmo realizzato nella curiosa locuzione avverbiale tra mezzo del verso 10 e l’onomatopea fru fru del verso 12 che sostituisce il sostantivo. Inoltre un altro poeta, magari D’Annunzio, non avrebbe mai utilizzato la parola fratte che qui chiude il verso 12. Retoricamente emerge la potente sinestesia della iunctura nebbia di latte e l’anafora della forma verbale sentivo che si articola lungo la sequenza compresa tra il verso 11e il verso 13.

Su tutte le lucide vette 
tremava un sospiro di vento: 
squassavano le cavallette 
finissimi sistri d’argento 
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?...), 
e c’era quel pianto di morte... 
chiù...

In questa terza e ultima stanza assistiamo al dominio incontrastato della sfera sensoriale dell’udito e ad un evidente innalzamento del registro linguistico affidato a una ricchissima sinestesia, spalmata sul distico incipiente (vv. 17-18: su tutte le lucide vette/tremava un sospiro di vento), e ad espressioni molto raffinate come finissimi sistri d’argento oppure pianto di morte. Unica deroga alla democrazia
linguistica di Pascoli all’interno di questa strofa è forse rappresentato dalla forma nominale onomatopeica del verso 20 tintinni.
Ci sono infine degli elementi che vanno considerati in una visione di insieme delle tre strofe, come il climax delle apposizioni dell’espressione onomatopeica chiù (voce, singulto, pianto di morte), che varia progressivamente anche nella sua dislocazione spaziale (veniva, sonava lontano, c’era), e l’alternarsi della prevalenza di due elementi sensoriali, dapprima quello visivo e definitivamente quello uditivo.
In conclusione possiamo trarre le fila della nostra discussione alla luce di quanto sosteneva Pasolini e sulla base delle scelte operate da Guido Baldi nella scelta dei testi letterari che esemplificano la poetica degli autori contemplati nel suo manuale di storia della letteratura italiana. Possiamo confermare tutti gli elementi di innovazione linguistica che permettono di definire Giovanni Pascoli come un punto di partenza, ma riteniamo nello stesso tempo che sia stato trascurato un elemento costitutivo della lirica pascoliana che davvero costituisce un filo rosso nella lirica del Novecento, ovvero il tono elegiaco, quel male di vivere che ha una natura diversa dal pessimismo leopardiano, che caratterizzerà la produzione di quei poeti testimoni oculari degli orrori dei due grandi conflitti mondiali e delle fasi più drammatiche delle due rispettive ricostruzioni, un sentimento che il Pascoli, con grande spirito di modernità, pur giunto nel 1912 alla fine del suo percorso biografico, aveva presagito con straordinaria lungimiranza.

Note

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Pasolini, Leonetti, Roversi fondarono la rivista “Officina” a Bologna, nel 1955. Sul primo numero della rivista, Pasolini scrisse un saggio su Pascoli, intitolato appunto Pascoli, in occasione del centenario della nascita del poeta (ma è anche da ricordare che la tesi di laurea di Pasolini era appunto uno studio sulle poesie pascoliane). Questo articolo non era solo di commemorazione né si tratta di un semplice bilancio. Nell’esordio vi è concentrata la missione della rivista:
“Si consideri intanto la stupenda possibilità di “descrizione” che presenta il fenomeno stilistico pascoliano (...): “descrizione” anzitutto oggettiva, da laboratorio (se impostata secondo il folgorante schema del Contini, sia pure volgarizzato, delle due categorie letterarie del “monolinguismo” – petrarchistico – e del “plurilinguismo”) ma poi, per una sua intima forza paradigmatica, soggettiva e di tendenza. E ciò nel senso che vi si può fondare una revisione di tutta l’istituzione stilistica novecentesca (da farsi appunto in gran parte risalire alla ricerca pascoliana)”. Cfr. P.P. Pasolini, Pascoli, in Idem, Passione e ideologia, Garzanti, Milano 2014 – edizione digitale in ebook, p. 291
ii Più esplicito ancora, Edoardo Sanguineti, qualche anno dopo, in un saggio del 1962, aIttraverso i Poemetti pascoliani (in Pasolini, Ideologia e linguaggioibidem, pp. 11-34):“L’operazione stilistica compiuta dal Pascoli svela tutto il suo significato, mi pare, soltanto se spiegata appunto come un tentativo, coraggioso quanto disperato, rigoroso quanto patetico, di “abolire la lotta di classe” anche sopra il terreno, precisamente, dello stile: un tentativo di abolire la lotta tra le classi delle parole, non meno che tra le classi degli uomini, trovando un pacifico punto di equidistanza tra “agavi” e “pimpinelle” (...).
iii Ibidem, p.296
iv Ibidem, p. 305
Ibidem.
vi Cfr. B. Croce, A proposito del Pascoli, in “La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da B. Croce, 17, 1919, consultabile on line alla pagina https://ojs.uniroma1.it/index.php/lacritica/article/view/8299/8281
vii La tesi di Pasolini è stata pubblicata dall’editore Einaudi per la collana Gli struzzi: cfr. P.P. Pasolini, Antologia della lirica pascoliana, Einaudi, Torino 1997.
viii Cfr. G. Bardi e altri, Il piacere dei testi, vol 5 Dall’età postunitaria al primo Novecento, Paravia, Milano 2016.
ix Ibidem, pp. 561-564
Per una cronistoria dell’utilizzo dell’immagine lunare nella poesia di Giovanni Pascoli si veda l’articolo della giovabe studiosa Griselda Piantanida dal titolo Le varie facce della Luna nella poesia di Giovanni Pascoli: tradizione mito ed esoterismo, consultabile sulla pagina web https://griseldaonline.unibo.it/article/view/9178
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Bibliografia
  • P.P. Pasolini, Antologia della lirica pascoliana, Einaudi, Torino 1997.
  • P.P. Pasolini, Passione e ideologia, Garzanti, Milano 2014
  • G. Bardi e altri, Il piacere dei testi, vol 5 Dall’età postunitaria al primo Novecento, Paravia, Milano 2016
  • Casadei e M. Santagata, Manuale di letteratura italiana contemporanea, Editori Laterza, Bari 2007
    Sitografia
  • https://ojs.uniroma1.it/index.php/lacritica/article/view/8299/8281
  • https://griseldaonline.unibo.it/article/view/9178
  • www.fondazionepascoli.it

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