LA POESIA SECONDO BENEDETTO CROCE

 


È impossibile studiare letteratura italiana senza inciampare prima o poi in qualche saggio di Benedetto Croce, la vera auctoritas della cultura italiana della prima metà del Novecento. Nessuno come lui ha influenzato così profondamente la cultura italiana, tanto che non solo qualsiasi altra forma di analisi delle belle lettere nel XX secolo avrebbe dovuto conformarsi quasi obbligatoriamente con i suoi dettami, ma persino le esposizioni permanenti dei musei d’arte figurativa del secondo Dopoguerra sono state influenzate dal modo con cui il filosofo di Pescasseroli isolava l’opera d’arte nella sua insulare unicità, facendo a meno di cornici, contesti storici, vicende biografiche di un autore, libri che erano stati da lui letti ed amati, i suoi traumi, i sogni, le speranze etc. Nel saggio del 1934, LA POESIA, allora edito da Laterza, oggi riproposto in una elegante confezione grafica per i tipi di Adelphi, si ribadisce questa chiara posizione teoretica: non tutto ciò che produce un poeta deve essere considerato poesia. 


L’opera, pubblicata a dieci anni di distanza dal capolavoro critico di Benedetto Croce, L’ESTETICA, è formata da due sezioni: il nucleo tematico vero e proprio e una copiosa appendice di postille. 

Per Croce la poesia è figlia del sentimento, la letteratura invece del pensiero. La poesia è l’espediente con il quale l’uomo trasforma in immagini concrete la materia informe del sentimento, riconduce l’individuale all’universale, il finito all’infinito: in una immagine si ritrova l’universo. La prosa, e per prosa non si indica soltanto quell produzione che non viene scandita in versi e strofe, si distingue dalla poesia esattamente come la fantasia dal pensiero, il poetare dal filosofare, in alcuni casi, come per quanto riguarda L’oratoria il suo fine ultimo è quello di docere et delectare. Da buon epigono di Giovanbattista Vico, Benedetto Croce considera poesia la lingua materna del genere umano e la letteratura la sua istitutrice nella civiltà, a cui sono estranei il sacro furore ed il genio. 

Poesia non è sinonimo di stile, di labor limae, la vera poesia non ha nulla a che vedere con la gerarchia dei generi, anzi è trasversale ad essi. Alla classificazione dei generi viene sostituita una breve casistica dei domini della letteratura: il dominio del sentimento, l’oratoria, l’intrattenimento, l’ambito didascalico e l’arte per l’arte. 

Tutte le estetiche che non sono in grado di separare la poesia dalla letteratura, dall’antipoesia sono antiestetiche, estetiche false e ingannevoli. 


Il topic del capitolo II è la vita della poesia, come il critico ricrei ogni volta la sintesi tra intuizione ed espressione creata a sua volta dal genio. La critica deve essere innanzitutto estetica, il critico, anche il filologo che si abbandona all’euristica documentaria, deve sentire la poesia, l’impressione estetica, deve seguirla, vivere con essa. A questo proposito per Croce ogni critica estetica è necessariamente storica. 

Da ciò deriva necessariamente che compito più ingrato è quello del traduttore, quasi impossibile da ottemperare. A prescindere che la sua traduzione sia una brutta fedele o una bella infedele, L’utopia del traduttore è ribadita dal duplice sforzo: rivivere il sentimento del poeta e tradurlo in una cultura che non la generato quella medesima poesia


Nel terzo capitolo Croce premette che la critica è tutt’altro che accessoria, è fondamentale per la vita stessa della poesia.

 Il pensiero è sempre al di fuori della poesia, per questo ogni giudizio sulla poesia stessa è riconducibile alla sfera della logica. Non si può giudicare senza le categorie dell’intelletto. Tuttavia il critico deve essere provvisto anche di una buona sensibilità, perché senza di essa non ha alcun fondamento alcun giudizio critico.

Il gusto è il miglior modo di giudicare un’opera d’arte ma alcune tentazioni lo impediscono, come il non volersi scostare dal plauso che i più rivolgono ad un’opera, oppure l’insidia che nasce dall’opera stessa, quando non si sa in quale ambito inserirla. 

Una rigorosa “auscultazione” della sensibilità prevede un rigoroso impiego delle categorie. Tuttavia i critici non devono sostituirsi ai filosofi, ma devono eleggere a categoria prima e unica la bellezza che ha una triplice manifestazione: lirica, epica e drammatica. In realtà questa tripartizione può essere semplificata in quanto il poeta lirico drammatizza il suo sentimento, quello drammatico liricizza la sua azione. Al di là delle semplificazioni è però alla fine necessario riaffermare l’indivisibilità della bellezza. 

Per completare il giudizio sulla poesia il critico ne offre una caratterizzazione, ovvero ne individua “il contenuto o motivo fondamentale, riferendolo ad una classe o tipo psicologico, al tipo e alla classe più vicina” (p. 130).

Con il giudizio estetico di una poesia ne viene data la storia e quel giudizio è quella storia, perché nella poesia fatto è valore sono un tutt’uno. Ogni opera è ben rievocata solo nel suo “storico collocamento” (o.135), come punto di arrivo ma allo stesso tempo punto di partenza. Tra le singole opere di un autore o di vari autori c’è necessariamente un nesso al contrario di quanto si illudono alcuni filologi, continua Croce, che vedono ogni poesia chiusa nei propri confini. Tuttavia ogni opera in sè è perfetta, non viene perfezionata dalle opere dei successori: con questo Benedetto Croce demolisce qualsiasi gerarchia tra gli autori e i generi. 

Per quanto riguarda la storia della poesia, il Croce asserisce che la storiografia sottomette la poesia ad un criterio extrapoetico e pertanto si ripresenta nella concezione della letteratura come espressione della società, in cui è facile ammettere che la poesia poteva solo e soltanto nascere in Grecia. La biografia del poeta, la sua storia personale, non è assolutamente essenziale per la critica della poesia, perché nell’espressione poetica di un determinato autore si ripercuote non soltanto la sua vita, ma quella di tutta l’umanità. 

Il poeta non è altro che la sua poesia stessa e il critico vi cerca il suo stato d’animo o i suoi stati d’animo fondamentali, caratterizzanti. In numerosi casi uno stato d’animo viene condiviso da più di un autore (si veda il sentimento della tirannia dell’Amore da parte dei poeti chiamati Stilnovisti). 

La poetica di Croce prevede in conclusione due momenti: la valutazione e la caratterizzazione. 


L’ultima sezione discute sulla formazione del poeta, convergenza di originale impeto creativo e rapporto con la tradizione: un intimo colloquio tra vecchi e nuovi poeti che ha qualcosa di misterioso. Per Croce è fondamentale l’originalità perché l’autenticità espressione non va ricondotta solo all’imitazione. 

Le scuole di poesia non sono affatto funzionali, i veri maestri del poeta sono i grandi scrittori, vocabolari e grammatiche hanno la loro utilità pratica. Croce pertanto prende le distanze da scuole e manifesti programmatici, la vera precettistica su esercita attraverso i grandi maestri. 

Sul rapporto tra poesia e le altre forme d’arte, si individua come comune denominatore il ritmo, l’oscillazione di tutti i sensi tendente ad afferrare l’inafferabile respiro del del cosmo. La poesia è le arti affacciano l’umanità verso il senso essenziale del vivere, non dicibile logicamente, proiettano il nostro umano esistere verso quel ritmo esterno in cui siamo inseriti, ma che non siamo in grado di proiettare altrimenti: danno voce alla fuggevolezza dell‘esperienza e sono sempre qualcosa di più di tutte le forme, le convenzioni, le istituzioni, le discipline che costituiscono la civiltà.


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