L'EPISTOLARIO DEL SOMMO

di Dino Leoni


Bonino da Campione (attr. a), Monumento equestre a Cangrande della Scala, 1340-1350, marmo, 200x206 cm, Verona, Museo di Castelvecchio; l'immagine fotografica è tratta dal sito web del Museo civico di Castelvecchio a Verona, dove la scultura viene esposta al pubblico nella collocazione che le fu conferita negli anni Cinquanta dall'architetto Carlo Scarpa: museodicastelvecchio.comune.verona.it 

Diversi uomini lettere del passato, fin dalle età più remote, hanno utilizzato la lettera come genere letterario, come strumento di un arte impegnata che preveda la manifestazione di una precisa linea ideologica. Cicerone nella seconda metà del I secolo a.C. e Francesco Petrarca nel corso del XIV secolo, ad esempio, composero delle interessantissime epistole, caratterizzate da preziosità retoriche e formali, destinate molto probabilmente alla pubblicazione. Esisteva pertanto un autentico genere, codificato da uno specifico insieme di norme, l'ars dictanti o ars dictaminis.

Come apprendiamo da qualsiasi manuale di letteratura italiana, almeno da quelli che abbiamo consultato per la redazione di questo articolo, Dante scrisse tredici lettere in latino, la prestigiosa lingua della cultura, codice linguistico franco che permetteva di comunicare efficacemente con tutti gli intellettuali d'Europa. Le sue epistole sono state partorite durante il doloroso ma culturalmente proficuo esilio:

  • I A Niccolò vescovo di Ostia e Velletri
  • II A Oberto e Guido, conti di Romena, dopo la morte dello zio Alessandro
  • III A Cino da Pistoia, esule come Dante
  • IV A Moroello Malaspina, signore di Lunigiana
  • V Ai signori d'Italia
  • VI Agli «scelleratissimi» Fiorentini
  • VII All'imperatore Arrigo VII di Lussemburgo, durante la sua discesa in Italia
  • VIII, IX e X Dalla contessa di Battifolle a Margherita di Brabante, moglie di Arrigo VII
  • XI Ai cardinali italiani
  • XII A un amico fiorentino
  • XIII A Cangrande della Scala, signore di Verona
Un'epistola può essere un testo molto efficace, un modo di fare letteratura impegnata. La lettera in epoca moderna venne utilizzata addirittura come modulo narrativo per la realizzazione di romanzi epistolari. Ancora oggi sia uomini di lettere che non addetti ai lavori fanno ricorso alla famigerata lettera aperta quando vogliono portare all'attenzione dell'opinione pubblica questioni di attualità che meritano di essere discusse e sciolte felicemente. Dante visse in un periodo in cui non era stata ancora inventata la stampa a caratteri mobili, non esistevano quindi i quotidiani, non c'era la possibilità di stampare e diffondere volantini, proclami, agili volumetti. Questo non significa che tra il XIII e il XIV secolo scrivere un'epistola significasse redigere un testo che sarebbe stato letto esclusivamente dal destinatario del medesimo. Anche in tempi senza stampa l'epistolario di un intellettuale era un insieme di testi destinata alla pubblicazione, i cui contenuti erano condivisi da più di un interlocutore, caratterizzati proprio per questo da un rigido controllo formale.

A mio parere le epistole di Dante, che meglio mettono in luce la personalità, il pensiero e la poetica del suo autore sono quelle indirizzate all'imperatore Arrigo VII di Lussemburgo e a Cangrande della Scala, signore di Verona.

ARRIGO IMPERATORE, DAVID REDIVIVO, INAUGURERA'  UNA NUOVA ETA' DELL'ORO
Subito dopo aver letto la traduzione della settima epistola, mi sono venuti in mente tre esametri del VI canto dell'Eneide, quando il pio Enea, dopo aver incontrato il padre Anchise sulla verde distesa dei Campi Elisi, riceve dal suo anziano e saggio genitore il seguente ammonimento:

TU REGERE IMPERIO POPULOS ROMANE MEMENTO
HAEC TIBI ERUNT ARTES, PACISQUE IMPONERE MOREM
PARCERE SUBIECTIS ET DEBELLARE SUPERBOS

Ricordati, Romano, di governare i popoli con le armi!
Questi saranno i tuoi espedienti: imporre il culto della pace,
avere misericordia di chi si sottomette e stroncare i ribelli.

(Virgilio, Eneide, VI 847-853; traduzione di me medesimo)

Dante si esprime con acrimonia e parole di condanna nei confronti di quei comuni dell'Italia centrale e settentrionale, primo tra tutti la sua Firenze, che si stavano alleando con altri sovrani per contrastare il tentativo dell'imperatore Arrigo VII di restaurare l'autorità imperiale sull'Italia. La missiva è ricca di riferimenti alla mitologia classica e alle Sacre Scritture: Firenze ad esempio viene paragonata all'Idra di Lerna, mostro mitologico che l'imperatore, come un Ercole, dovrà abbattere. Dante ribadisce la sua estrema convinzione politica, per cui la monarchia, quel potere temporale nelle mani di un solo sovrano, di cui è espressione la persona dell'imperatore del Sacro Romano Impero, era l'unica condizione in grado di garantire il rispetto della volontà divina e quindi la pace e la felicità del genere umano nel corso dell'esistenza terrena.

LE RAGIONI DELLA COMMEDIA
Ma più interessante, ai fini della conoscenza della genesi del poema sacro di Dante, è la tredicesima epistola, il cui destinatario è il signore di Verona, Cangrande della Scala, che fu nel novero dei signori che diedero ospitalità al poeta durante il periodo del doloroso esilio. Come abbiamo più volte ripetuto a proposito del Sommo, la totale assenza di autografi non consente di attribuire senza alcun dubbio la paternità dello scritto a Dante. Per alcuni contenuti e per la sua specifica struttura, l'autenticità dello scritto è stata più volte messa in dubbio da tutti quegli studiosi che l'hanno esaminata con attenzione. In poche parole (secondo quanto si apprende dall'opera saggistica di Saverio Bellomo, Critica e filologia dantesca, Editrice La Scuola, Brescia 2012, pp. 159-162) i critici ravvedono un'incongruenza tra la prima parte dell'epistola, la sezione di natura meramente encomiastica e dedicatoria, e la restante parte, dove Dante procede alla presentazione e all'esegesi della terza cantica. Alcune asserzioni, inoltre, stonerebbero con il carattere, il pensiero e la poetica dell'autore (considerazioni sullo stile comico, sul significato del titolo del poema dantesco e sul suo subiectum etc.).
Sinceramente non trovo interessante addentrarmi in discussioni di questo tipo, non è questa la sede più opportuna, non si addicono affatto con il carattere leggero e spensierato della nostra silloge di pensieri. Mi limiterò a riassumerne i contenuti nei seguenti punti:
1. il testo della Commedia può essere letto secondo quattro sensi: letterale, allegorico, morale e anagogico
2. il soggetto dell'opera è in senso letterale lo stato delle anime dopo la morte, in senso allegorico il fatto che ogni uomo, a seconda di come esercita il suo libero arbitrio, può essere soggetto per l'eternità alla dannazione o alla beatitudine.
3. il titolo Commedia (o Comedìa) deriva dall'adozione delle caratteristiche strutturali della commedia, in cui la materia orribile e repellente al principio si evolve verso una gioiosa conclusione, e dallo stile medio, caratterizzato da plurilinguismo e mescolanza di registri, da quella lingua insomma con cui si esprimono anche le donne (et mulierculae comunicant).
4. la finalità del poema sacro di Dante è togliere dallo stato di miseria i viventi in questa vita e condurli ad uno stato di felicità.

LA TRADIZIONE
I testi delle prime dodici dodici epistole ci sono stati tramandati da cinque manoscritti di area tosco-romana, esemplati tra la fine del XIV e i primi del XV secolo. Tranne le epistole cinque e sette, quasi tutte le altre hanno una tradizione unitestimoniale. La tredicesima epistola invece ha uno stemma codicum un po' complicato, costituito da nove manoscritti.
L'editio princeps, curata da Girolamo Buffaldini, apparve sulla rivista "La Galleria di Minerva" nel 1700.
Un ottima edizione critica venne pubblicata da Enzo Cecchini nel 1995.




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