LO SPERIMENTALISMO DELLE RIME

Dante scriveva versi su versi, senza preoccuparsi troppo di comporre una raccolta organica, assecondando la sua volontà di scoprire nuovi modelli, confrontarsi con esclusive forme metriche, cercare di circoscrivere il magma informe della sua ispirazione all‘interno di una cifra stilistica originale. 



Come nella vita, anche nella poesia Dante fu lussurioso ed adultero in numerose occasioni, sia in gioventù che durante la maturità; tradì Calliope con altre sue auguste sorelle. Il risultato fu un insieme eterogeneo ed articolato di liriche, refrattarie ad un progetto unitario, che solo per opera della filologia del Novecento vennero ricomposte all‘interno di un‘edizione critica, provvista di relativo commento. 


Tuttavia, senza ricorrere agli strumenti affilati della filologia di tradizione, possiamo individuare all‘interno dell‘insieme dei componimenti danteschi delle specifiche categorie: le rime comiche della tenzone poetica con Forese Donati; le rime giovanili stilnoviste, le rime petrose, le rime dell‘esilio.


Nota bene: da queste categorie di componimenti abbiamo escluso naturalmente quelle liriche che erano state composte in onore di Beatrice, confluite pertanto nel libello della Vita Nova, e le tre canzoni commentate nei trattati del Convivio.


La tenzone poetica con Forese Donati.

Dal cognome si deduce che questo personaggio, interlocutore di Dante, fosse un membro del clan familiare che capeggiava il partito dei Guelfi Neri. Ipoteticamente si tratta quindi di un avversario di Dante stesso, che deve essersi divertito un mondo a scagliargli contro dei sonetti ingiuriosi e spudorati. Probabilmente tra i due, nonostante la diversa militanza politica, scorreva buon sangue e i componimenti che i due si lanciarono reciprocamente sono forieri di quel tono scherzoso ed ilare tipico della tradizione della poesia comico-realistica; ma si sa, ridendo e scherzando Pulcinella dice la verità!

Si tratta di 6 sonetti, scritti in un arco di tempo che va dal 1293 fino al 1298, con cui Forese e Dante si divertirono, in un pittoresco gioco di botta e risposta, a stigmatizzare i loro rispettivi difetti e gli aspetti più prosaici e dimessi della loro quotidianità. 


Le rime stilnoviste.

I primi versi di Dante furono scritti in un contesto socio-culturale, come quello della città di Firenze sul finire del XIII secolo, dove si erano affermati i punti programmatici della poetica degli autori (Guido Cavalcanti, Dino Frescobaldi, Lapo Gianni etc.) che, in contrapposizione alla poesia di Guittone d’Arezzo ed eleggendo come padre spirituale il bolognese Guido Guinizzelli, avevano affermato l’esigenza di una lirica d’amore contraddistinta da uno stile piano, chiaro, dolce. 

Il giovane Dante, le cui circostanze biografiche condurranno in seguito ad una poesia di serio e sentito impegno civile, aspirò ad essere ammesso in questa cerchia esclusiva di poeti che si vantavano di essere la nuova aristocrazia, basata sul possesso della nobiltà d’animo e di altre qualità spirituali. L’Alighieri pertanto si rese autore di una serie di componimenti indirizzati ai più eminenti rappresentanti della scuola dello Stilnovo. Tra questi, colui che Dante definì il primo de li amici miei, Guido Cavalcanti, con cui ebbe un rapporto civile e amichevole, anche se un po‘ controverso. A lui dedicò sonetti come questo: 


Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io

fossimo presi per incantamento,

e messi in un vasel ch’ad ogni vento

per mare andasse al voler vostro e mio,


sì che fortuna od altro tempo rio

non ci potesse dare impedimento,

anzi, vivendo sempre in un talento,

di stare insieme crescesse ’l disio.


E monna Vanna e monna Lagia poi

con quella ch’è sul numer de le trenta

con noi ponesse il buono incantatore:


e quivi ragionar sempre d’amore,

e ciascuna di lor fosse contenta,

sì come i’ credo che saremmo noi.


(Sonetto, schema ritmico: ABBA ABBA CDE EDC)

Il poeta si rivolge al suo interlocutore facendo ricorso alla seconda persona, coinvolgendo nel suo invito anche il poeta Lapo Gianni. Dante esprime il desiderio che, attraverso un incantesimo, lui stesso, in compagnia dei suoi amici e delle rispettive donne, siano collocati sopra un vascello che li trasporti in un luogo lontano, paradisiaco e incontaminato (viene riproposto il topos provenzale del plazer, ovvero la contemplazione poetica di un luogo fisico ameno e di una circostanza piacevole e godereccia). L‘autore  vagheggia quindi la possibilità di intrattenere con i presenti una conversazione sui temi d‘amore, foriera di gioia e spensieratezza. 

Il poeta non ci descrive il paesaggio circostante, l’imbarcazione con cui avviene il viaggio, né ci offre un ritratto dei suoi amici e delle donne invocate, ma si concentra solo sulla definizione dell’umore dei presenti, come se l’appagamento dell’autore in prima persona si proiettasse sullo stato d’animo dei suoi interlocutori. L’uso insistito del congiuntivo accresce l’irrealtà e la finzione della scena, il lessico è aulico, raffinato, tipico dello stile alto (disio, incantamento, talento, ragionar...d’amore). È curioso il fatto che Dante scelga di nominare apertamente le donne dei suoi amici, avvalendosi poi di una perifrasi per individuare la sua amata (con quella ch’è sul numer de le trenta: è un riferimento ad un sirventese con la rassegna delle donne donne più belle di Firenze, di cui si dà notizia nel VI capitolo della Vita Nova; in questo classifica però Beatrice avrebbe occupato la nona posizione e non la trentesima, pertanto l’espressione sul numer de le trenta va interpretata come la quantità delle presenze femminili contemplate in questa sconosciuta graduatoria di bellezza). 

Sappiamo che Guido Cavalcanti purtroppo declinò l’invito: per lui l’amore era una dolorosa malattia mentale e la vicenda sentimentale che lo aveva provato agli occhi di madonna Giovanna lo avevano definitivamente convinto della sua impossibilità a raggiungere un qualsiasi equilibrio emotivo attraverso l’amore. 


Le rime petrose

Scritte tra il 1296, negli anni immediatamente seguenti la morte di Beatrice, fino al periodo dell’esilio, queste liriche ci mostrano un Dante inedito, che strizza l’occhio al trobar clus dei trovatori provenzali come Arnault Daniel, e privilegia forme nominali e verbali portatrici sane di fonemi fricativi e vibranti. Le canzoni e i sonetti di questa famiglia di poesie hanno come destinataria una donna donna, individuata dal senhal (soprannome poetico) di Petra, probabilmente per il suo carattere spigoloso e refrattario a qualsiasi forma di attenzione da parte del sesso forte. Non sappiamo se questa presenza femminile sia in realtà una figura allegorica o se sia davvero una donna in carne ed ossa, ma attraverso la lettura di questi componimenti poetici emerge una passione sensuale, una lussuria e una carica erotica che non siamo abituati ad attribuire a Dante. Si veda a questo proposito l’ultima stanza immediatamente prima del

congedo della canzone Così nel mio parlar voglio essere aspro (vv. 66-78):


S’io avessi le belle trecce prese,

che fatte son per me scudiscio e ferza,

pigliandole anzi terza,

con esse passerei vespero e squille:

e non sarei pietoso né cortese,

anzi farei com’orso quando scherza;

e se Amor me ne sferza,

io mi vendicherei di più di mille.

Ancor ne li occhi, ond’escon le faville

che m’infiammano il cor, ch’io porto anciso,

guarderei presso e fiso,

per vendicar lo fuggir che mi face;

e poi le renderei con amor pace.


Questi versi sono l’antitesi dello Stilnovo, nemmeno il suo canto del cigno: Dante esprime infatti il proposito di toccare fisicamente la donna, concepita come un lascivo oggetto di desiderio, con una predisposizione d’animo contraria a quella nobiltà d’animo che venne considerata da Guinizzelli requisito indispensabile per la presenza di Amore ( v. 70: e non sarei pietoso né cortese). 


Rime dell’esilio

Dopo la tragica esperienza della condanna in contumacia al rogo, che motivò l’esilio lontano da Firenze, vagando di corte in corte, la poesia di Dante cambiò radicalmente nei toni e nei contenuti. Divenne l’espressione poetica del suo pianto, della ferita cagionata dall’essere stato vittima di arbitrio e ingiustizia (motivo dell’exul immeritus). Poesie come la canzone Tre donne intorno al cuor o come il sonetto Se vedi gli occhi miei di pianger vaghi insistono sui temi della giustizia, sul desiderio di pace e rettitudine, sulla contemplazione della degenerazione morale dei costumi, sono espressione di un’arte impegnata, che intende scuotere le coscienze e contribuire ad un risveglio morale della società. 


MODELLI DI RIFERIMENTO

Con la sua produzione poetica Dante dimostra di aver approfondito la conoscenza delle più disparate esperienze liriche del tempo e di saperle rielaborare in modo originale e virtuosistico, all’insegna dello sperimentalismo linguistico. La sua poesia è il punto di arrivo di diverse tradizioni: la lirica cortese, la maniera di Guittone, il trobar clus di Daniel. 


TRADIZIONE

Proprio perché le rime non fanno parte di una raccolta organica per definire la tradizione dell’insieme delle liriche di Dante dovremmo tracciare uno stemma codicum per ogni componimento. Per questo Saverio Bomomo individua tre famiglie di manoscritti interessate alla trasmissione dei testi delle rime sparse del

sommo Poeta:

  1. Famiglia veneta: è il gruppo di testimoni più antichi, esemplati tutti nella prima metà del XIV secolo.
  2. Famiglia toscana: comprende il Chigiano LVIII 305, la silloge del Dolce Stil Novo.
  3. Famiglia di Boccaccio: i manoscritti più autorevoli presentano ad incipit il testo della più famosa biografia di Dante, il Trattatello in lode di Dante.

La filologia di tradizione del Novecento ci ha restituito due fondamentali edizioni critiche: quella di Michele Barbi del 1921, di Gianfranco Contini del 1939. L’edizione critica di Domenico De Robertis ha visto la luce nel 2002. 

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