MONARCHIA, unica risposta ai mali del mondo

Una grande mente non può fare a meno di interessarsi di politica e Dante con questo trattato in tre libri, redatto in latino, esprime con controllato rigore filosofico il proprio parere relativamente alla secolare disputa tra papato ed Impero, che fin dalla Lotta per le investiture aveva segnato la storia dell‘Età di mezzo.



Ambrogio Lorenzetti, Allegoria del buon governo, affresco, Palazzo pubblico di Siena, Sala della Pace, 1338-1339. fotografia da: P. De Vecchi ed E. Cerchiari, Arte nel tempo, vo. I, II tomo, Bompiani, Milano 1991, p. 596


Dante era un membro attivo della fazione dei Guelfi Bianchi, ovvero lo schieramento moderato del partito filopapale a Firenze nel XIII secolo. La leadership del gruppo era gestita dai membri più eminenti della facoltosa famiglia dei Bardi, che, a differenza dei Neri (capeggiati invece dal casato dei Donati), era convinta della necessità di porre un freno all‘intromissione del pontefice nelle questioni della politica interna della città-stato di Firenze.

Il nostro sommo Poeta aveva una fiducia immensa bei confronti dell’Impero e dell‘Imperatore, era estremamente convinto che questa istituzione obbedisse ad un chiaro ed evidente disegno divino, in base al quale la pace e la giustizia, garantite dagli eredi di Cesare, avrebbero spianato la strada alle anime degli uomini e delle donne che desiderassero entrare nella Città di Dio. Non a caso l‘Impero romano aveva determinato le condizioni storiche più opportune per l‘incarnazione del Verbo e la città di Roma, attraverso la predicazione di San Pietro e dei discepoli del Cristo, era stato il centro propulsore della buona novella in tutto il mondo. 

Essere un guelfo bianco per Dante significava riconoscere nel Papa la massima autorità spirituale, a condizione che il buon pastore non sacrificasse la cura e la ricerca delle pecorelle smarrite per compensare la sua sete di ricchezza e di potere. Il potere temporale doveva restare appannaggio dell‘Imperatore, non ci doveva essere alcuna confusione tra i due distinti campi di competenza, il Cesare sarebbe stato responsabile del benessere di tutto il genere umano sulla terra, l‘erede di Pietro avrebbe consentito alle anime dei mortali di contemplare la luce dell‘Eterno nell‘Empireo dopo la morte. 


La cronologia dell‘opera è incerta: le discussioni sulla datazione della Monarchia non hanno raggiunto un accordo tra la posizione di tutti coloro che ritengono il trattato di politica di Dante un prodotto del periodo pre-esilio e di quanti sono invece convinti che l‘occasione per la sua composizione sia stata la discesa di Arrigo VII di Lussemburgo in Italia nel 1513 (evento che Dante aveva colmato della speranza di una futura restauratio imperii.

Ovviamente una così delicata materia sollecitava attenzione ben al di là dei circoscritti confini di Firenze e il volgare sarebbe stata una scelta fallimentare. Era più opportuno pertanto utilizzare il latino per sviluppare le relative argomentazioni. 


CONTENUTI


La discussione è sapientemente distribuita in tre sezioni


I LIBRO

Composto da 15 capitoli, la prima sezione del trattato, sulla base di quanto affermato nella politica di Aristotele e adottando il metodo dimostrativo del sillogismo, approfondisce il significato della forma di governo monarchica. 

Come l‘Universo è un complesso formato da una molteplicità di parti che interagiscono tra di loro, regolate da Dio, principio unico ed universale, allo stesso modo tutte le organizzazioni sociali dell’umanità (comuni, regioni e stati) devono essere governate da un solo sovrano). Costui sarà il garante della giustizia e del libero arbitrio, in quanto, essendo già il padrone di tutto, non nutrirà la cupidigia, per eccellenza ostacolo della giustizia, e consentirà l‘esercizio del libero arbitrio in quanto difensore della rettitudine. Questo primo libro è quindi l‘esaltazione della monarchia, dell‘Impero come esercizio del potere temporale da parte di un solo uomo. 


II LIBRO

L‘Impero romano fu padrone del mondo non perché fece ampio esercizio della guerra ma perché la sua nascita ed il suo sviluppo furono espressione di un preciso disegno divino. Da Dio e dal Cielo derivano tutti i beni, pertanto tutto ciò che da essi deriva è privo di errori. Pensare ed agire con una volontà congruente con quella di Dio è causa prima di ogni felicità e di benessere. 

Tra le prove che l‘Impero Romano sia frutto un preciso volere dell‘Altissimo possiamo annoverare le imprese degli eroi della storia di Roma che per la loro comunità hanno sacrificato la loro vita e hanno anteposto il diritto e il bene dello Stato alla loro felicità; oppure il fatto che Cristo sia nato e abbia donato la vita per la salvezza del genere umano proprio durante l‘Impero di Tiberio.


III LIBRO 

L’ultima sezione del trattato offre la discussione intorno alle tematiche più spinose, ovvero se il potere dell‘Imperatore derivi direttamente da Dio o viceversa, se è legittimo l’esercizio del potere temporale da parte del Vicario di Cristo, se è lecito che il Papa deponga e spodesti l‘Imperatore. Dante cerca di dimostrare la fragilità delle argomentazioni di quanti sostengono la superiorità dell’autorità papale su quella imperiale, compresa la confutazione della cosiddetta donazione di Costantino. L‘Impero è stato concepito da Dio molti secoli prima del Papato, la volontà di Dio è antitetica alle leggi dell‘Impero, il papa è il vicario dell’Altissimo e le sue decisioni possono non essere coerenti con la volontà di quest’ultimo e, per il bene dell’umanità, non è opportuno che il pontefice associ all’esercizio del potere spirituale quello del potere temporale. All‘immagine del sole e della luna, in cui uno dei due corpi celesti brilla di luce riflessa, Dante oppone l’allegria dei due soli, entrambi ugualmente splendenti: l‘astro luminoso dell‘Imperatore illumina la vita terrena, quello del Papa la vita spirituale. 


MODELLI

È impossibile che Dante avesse potuto accedere ai testi contenuti nei trattati di politica di Platone o di Cicerone, che conosceva soltanto tramite volgarizzazioni. Fedele al culto di Aristotele, Dante ha sicuramente studiato diritto e aveva la formazione culturale necessaria ed adeguata per poter condurre un onorabile cursus honorum all‘interno dell‘amministrazione della Repubblica di Firenze. 

Dante poté attingere gli argomenti della propria discussione da alcuni degli scritti polemici che in quel periodo vennero composti a sostegno delle dottrine a favore del Papato o dell‘Impero: il De Potestate regia et papali di Giovanni da Parigi, la glossa anonima alla bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII, la Determinatio compendiosa de iurisdictione Imperii attribuita a Tolomeo da Lucca, il De Regimine Christiano di Giacomo da Viterbo.


FORTUNA E TRADIZIONE

Il trattato venne condannato dalle autorità pontificie per la prima volta quando il Papato era stato trasferito ad Avignone.

Venne inserito nell‘indice dei libri proibiti nel periodo contraddistinto dalla Controriforma.

Il testo della Monarchia è tramandato da 15 testimoni manoscritti, conservati in Italia e all‘estero e esemplati dalla metà del Trecento fino si primi anni del XVIII secolo.

Bisognò dunque attendere l'edizione critica del 1965, curata da Pier Giorgio Ricci, per vedervi ordinata la tradizione e valutato ciascun testimone nel quadro di una rivalutazione dell'archetipo e di una bipartizione dei testi in due gruppi nettamente differenziati

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