IL SUPERAMENTO DELLO STILNOVO - COMMENTO AL CANTO V (COMMEDIA, Infero)

Prima di procedere con il commento del V Canto, è necessario spiegare cosa è accaduto a Dante da quando ha incontrato Virgilio e le tre fiere alla fine della selva a quando ha fatto ingresso nel secondo cerchio dell'Inferno, dove viene punito il peccato di lussuria.


William Dice, Francesca Da Rimini, olio su tela, 2,18x1,82, Edimburgo, National Galleries of Scotland.

L'inferno è una voragine a forma di cono rovesciato, il cui vertice si trova esattamente al centro della terra. Questa cavità infernale si è creata nel momento in cui Lucifero, scagliato lontano dalla candida rosa dei beati, dopo essersi ribellato a Dio, precipitò sulla terra, così che questa medesima, come un organismo vivente, si è ritirata per evitare il contatto con le membra immonde dell'angelo ribelle (e come per una legge non scritta sulla conservazione della materia, la medesima quantità di terra, ritiratasi, ha formato nell'emisfero opposto la montagna del Purgatorio). 


L'inferno è costituito da dieci sezioni, l'Antinferno e ben 9 cerchi. Mentre nell'Antinferno gli ignavi sono condannati a camminare in processione dietro uno stendardo, nudi e ricoperti di graffi e punture di insetti molesti, l'Inferno propriamente detto è separato da questa prima anticamera dal primo fiume infernale, ovvero l'Acheronte (oltre a questo, attraversano il primo regno dell'Oltretomba anche lo Stige, il Flegetonte e il Cocito). Dopo il primo cerchio, costituito dal Limbo, luogo dove permangono per l'eternità gli spiriti magni vissuti prima dell'avvento del Cristianesimo e gli innocenti non battezzati, i successivi cinque cerchi costituiscono le sezioni del regno infernale dove vengono puniti i peccati di incontinenza .
Il fiume Stige separa questa prima sezione dell'inferno propriamente detto dalla Città di Dite, dal letto del Flegetonte, dai tre gironi del settimo cerchio, dalla ripa scoscesa, dalle Malebolge e dal fiume Cocito: tutti luoghi in cui vengono puniti i responsabili dei peccati peggiori in assoluto, ovvero quelle colpe commesse con consapevolezza, magari utilizzando per scopi malvagi il dono dell'intelletto. Nel settimo cerchio verranno puniti i violenti (contro gli altri, contro sé stessi, contro Dio e la Natura), nell'ottavo i fraudolenti e nel nono i traditori. I traditori che hanno voltato le spalle a Gesù Cristo (fondatore della Chiesa) e a Cesare (fondatore dell'Impero), ossia Giuda, Bruto e Cassio, vengono stritolati ognuno nelle tre fauci di Lucifero, che da angelo bellissimo si è trasformato in mostro tricipite.

Quando Dante e Virgilio entrano nel secondo cerchio "che men loco cinghia" incontrano subito il personaggio dell'inferno deputato al triage dei dannati: 


Così discesi del cerchio primaio

giù nel secondo, che men loco cinghia
e tanto più dolor, che punge a guaio.3

Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l’intrata;
giudica e manda secondo ch’avvinghia.6

Dico che quando l’anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata9

vede qual loco d’inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa.12

Il secondo cerchio è uno spazio più angusto e sicuramente più cupo e pregno di tristezza di quanto lo siano i luoghi dell'inferno che sono stati attraversati finora dalla coppia di poeti. Più il viaggio proseguirà verso il centro della terra, in quei luoghi dell'Universo dove la luce di Dio non arriva affatto, più le immagini si faranno cupe e la lingua di Dante diventerà aspra e popolare. La parola guaio è un'altra forma nominale che subisce dai tempi del Sommo ad oggi un processo di mutazione semantica: non indica un pasticcio, una situazione disdicevole, ma un lamento profondissimo, una smorfia di intenso dolore. Minosse ringhia orribilmente come fosse un cane rabbioso; non è un confessore che fa le veci di un dio misericordioso, ma un giudice che elargisce con grande facilità le sue sentenze (non a caso il nome Satana in ebraico significa "L'Accusatore"!). Il personaggio leggendario, indicato da Dante come l'ombra che smista i dannati, è un mostro per metà uomo e per metà rettile, la cui coda si arrotola tante volte quanti gradi si colloca il cerchio in cui l'anima dannata è destinata ad essere punita per i suoi peccati. Il leggendario Minosse, re di Creta, figlio di Giove, padre del Minotauro (forse è per questo che è mezzo serpente e mezzo uomo) è famoso per essere un giudice particolarmente severo e spietato. In questo contesto viene definito conoscitor de le peccata, non nel senso di profondo esperto della tendenza tipicamente umana al peccato, ma come colui che per prima accoglie la confessione di un'anima che ormai ha perso ogni pudore (tutta si confessa, come se non avesse più alcuna remora a nascondere i propri peccati, perché non c'è più un Padre misericordioso pronto a perdonarci e ad accoglierci: l'uomo infatti tende a dare per scontata la misericordia di Dio).

"O tu che vieni al doloroso ospizio",
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l’atto di cotanto offizio,18

"guarda com’entri e di cui tu ti fide;
non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!".
E ’l duca mio a lui: "Perché pur gride?21


Dante specifica che le anime dei dannati sono sempre in numero consistente ma procedono ordinatamente (probabilmente la certezza della pena frena la loro fretta). Minosse si accorge di Dante, sa bene che non è un'anima mal nata e lo apostrofa con un'intimazione, dopo aver interrotto la sua mansione di giudice infernale: che faccia attenzione alla sua guida! (fuor di metafora, Dante viene esortato a dubitare del suo stesso intelletto) e diffidi della facilità con cui si entra all'Inferno! L'espressione non t'inganni l'ampiezza dell'intrare è una citazione di Matteo 7,13 secondo cui la porta che conduce alla perdizione è davvero larga.

Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare
".24

Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote.27

Io venni in loco d’ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto.30

A zittire l'ennesimo cane da guardia di Lucifero sarà Virgilio stesso che definisce il viaggio di Dante fatale, ovvero voluto dal Fato, reso possibile da Dio: è grazie all'intelletto che ci rendiamo conto che finche siamo vivi possiamo salvarci e rivolgerci fiduciosi alla misericordia del Signore (vv. 23-24: vuolsi così colà dove si puote/ ciò che si vuole e più non dimandare). 
Dopo aver superato l'ostacolo rappresentato dal mostro infernale, i sensi di Dante sono turbati dall'oscurità delle viscere della terra, dai singhiozzi e dai sospiri dei dannati. La sequenza descrittiva mostra un certo gusto per le sinestesie, ovvero l'associazione di due o più elementi provenienti da sfere sensoriali diverse (loco d'ogni luce muto e molto pianto mi percuote).

La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta.33

Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina.36

Intesi ch’a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.39

E come li stornei ne portan l’ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali42

di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.45

Questa sezione del canto illustra il contrappasso a cui sono sottoposti i dannati del secondo cerchio dell'Inferno. Il contrappasso è un procedimento punitivo mediante l'analogia o la contrapposizione con la condizione peccaminosa. In questo caso si tratta di un contrappasso per analogia: come in vita i lussuriosi si fecero travolgere dalle loro passioni e dai loro peccaminosi desideri, allo stesso modo all'Inferno sono sollevati da terra da un vento impetuoso che li scaglia a tutta velocità da una parte all'altra del cielo nero. Dante ci offre in questi versi anche la definizione di lussurioso, ovvero un uomo o una donna che fanno parte di quella schiera di peccator carnali che la ragione sottomettono al talento (vv. 38 -39) 
Soprattutto tra i versi vv. 40-48 abbiamo un inedito accumulo di similitudini che suscitano nella mente del lettore immagini di uccelli e di specie ornitologiche, dimostrative du una minuziosa osservazione della natura da parte di Dante (probabilmente su imitazione di Virgilio, suo maestro spirituale).

E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid’io venir, traendo guai,48

ombre portate da la detta briga;
per ch’i’ dissi: "Maestro, chi son quelle
genti che l’aura nera sì gastiga?".51

"La prima di color di cui novelle
tu vuo' saper", mi disse quelli allotta,
"fu imperadrice di molte favelle.54

A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.57

Ell’è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che ’l Soldan corregge.60

L’altra è colei che s’ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussurïosa.
63

Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi ’l grande Achille,
che con amore al fine combatteo.66

Vedi Parìs, Tristano"; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch’amor di nostra vita dipartille.69


Dante chiede a Virgilio qualcosa in più sulle anime castigate dall'aura infernale. Come attraverso una specie di catalogo, Dante offre una rassegna dei lussuriosi e delle lussuriose più celebri nella storia e nel mito. La prima è Semiramide, regina d'oriente, sovrana lasciva, macchiatasi della nefandezza dell'incesto. La regina, per non incorrere in un giudizio severo e scandalizzato dei suoi sudditi, una volta ereditato il regno del marito defunto, rese legale il piacere sessuale. Seguono Didone, Cleopatra, Elena di Troia, Achille, il principe Paride, Tristano, e altre cento anime che morirono di mal d'amore. In tre terzine Dante riesce a concentrare i nomi più rappresentativi della tradizione letteraria cortese.

Poscia ch’io ebbi ’l mio dottore udito
nomar le donne antiche e ’ cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.72

I’ cominciai: "Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ’nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri".75

Ed elli a me: "Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno".78

Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: "O anime affannate,
venite a noi parlar, s’altri nol niega!".81

Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere, dal voler portate;84

cotali uscir de la schiera ov’è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettüoso grido.87

"O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,90

se fosse amico il re de l’universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c’ hai pietà del nostro mal perverso.93

Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che ’l vento, come fa, ci tace.96

Dante nota due anime che si contraddistinguono per la leggerezza. Il poeta nutre immediatamente per loro un sentimento di tenera simpatia. Per questo non esita a chiamarle quando il vento le trascina entrambi in prossimità dei due poeti. Probabilmente il trasporto di Dante nei confronti di questi due dannati è cagionato dalla loro insolita unione. Tutte le altre anime sono state citate singolarmente, ma soltanto loro sono vicini e inseparabili. Come due uccelli sacri a Venere, le colombe, le anime rispondono immediatamente al richiamo di Dante. La fanciulla della coppia parla per prima e sarà la sola tra i due ad intrattenere un colloquio con Dante; lo definisce animal grazioso e benigno, in quanto ne ha intuito la favorevole predisposizione nei suoi confronti. Nelle parole della fanciulla si coglie recondito il rimpianto per una pace irrimediabilmente perduta (vv. 91-93: se fosse amico il Re dell'universo/ noi pregheremmo lui per la tua pace, / poi c'hai pietà del nostro mal perverso). E' un anima che non ha perso del tutto la sua umanità, la consapevolezza di aver perso per sempre il dono della Grazia divina.

Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ’l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui.99

Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.102

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.105

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense
".
Queste parole da lor ci fuor porte.108

Francesca si presenta specificando la sua provenienza, perché a quei tempi da dove si viene molto più importante di chi si è; d'altronde la pera non cade mai troppo lontana dall'albero che l'ha prodotta! Dal verso 99 è possibile leggere le terzine più famose di tutta la letteratura italiana delle origini. L'endecasillabo numero 100, Amor ch'al cor gentil ratto s'apprende rammenta forme e concetti della celebre canzone di Guido Guinizzelli, Al cor gentil reparia sempre amore, ovvero l'amore può essere generato soltanto da un cuore nobile. Non si tratta di quella nobiltà che si acquista attraverso il valore e il coraggio sui campi di battaglia, o che deriva dal lignaggio, è una condizione che si acquisisce a buon mercato attraverso l'esercizio della virtù e dell'umiltà. La nobiltà concepita da quella generazione dei poeti che si afferma nella seconda metà del XIII secolo e che non definiamo Stilnovisti (senza che loro stessi fossero consapevoli di esserlo), è una originale mistura di cultura e profondi sentimenti. Dante, Cino Da Pistoia, Guido Cavalcanti fanno parte di questo esclusivo gruppo di poeti nobili, abilissimi nell'arte del parlare d'amore in versi. Soltanto dai cuori nobili l'amore può essere generato, quel medesimo amore che è nemico della viltà. E' un'amore che passa attraverso lo sguardo: Andrea Cappellano, nel suo trattato De Amore, i cui contenuti sono alla base della poetica dei poeti d'amore, dai poeti della Scuola di Federico II fino allo stesso Dante, sostiene che Amor est passio quaedam procedens ex visione et immoderata cogitatione alterius formae, ovvero l'amore nasce dalla visione della persona che ci fa battere il cuore e ci fa sentire le farfalle nello stomaco, e si consolida nei pensieri che indugiano nella mente dell'innamorato.
Il vero amore ai tempi di Dante poteva essere concepito solo al di fuori del matrimonio, raramente all'interno di esso. Ogni legame coniugale era infatti il prodotto di un contratto stipulato tra due famiglie, secondo il quale due giovani di sesso opposto, magari senza conoscersi affatto, univano le loro sorti di fronte a Dio. L'aspetto dell'amore secondo gli Stilnovisti, su cui davvero non riesco ad essere d'accordo, è la mancata gratuità del sentimento. Il poeta amante era comunque alla ricerca di una ricompensa, da lui definito mercede o guiderdone; un amore non corrisposto era pertanto foriero di struggimenti interiori e di laceranti dolori.
Paolo e Francesca si sono amati teneramente, al di fuori dal matrimonio. Lui era il fratello del marito di lei. Entrambi erano giovani e belli, sentivano di appartenere l'uno all'altro e, nonostante i limiti e le distanze, gli sguardi e i silenzi hanno lastricato la strada che li ha condotti a consumare un'intensa unione carnale. Giovanni Ciotto Malatesta, marito di Francesca e assassino a sangue freddo dei due giovani amanti, verra punito per il suo peccato mortale tra le acque del fiume Cocito, in quella sezione del letto del medesimo fiume chiamato Caina, dove vengono punti i traditori dei familiari.

Quand’io intesi quell’anime offense,
china’ il viso, e tanto il tenni basso,
fin che ’l poeta mi disse: "Che pense?".111

Quando rispuosi, cominciai: "Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!".114

Il nostro poeta china il viso, lo tiene basso, è visibilmente turbato. Virgilio non può non accorgersi che Dante è stato profondamente colpito dalle parole di Francesca. Dante sa quali dolci pensieri, quali desideri possono condurre un'innamorato alla morte (doloroso passo). Lo stesso Dante ha sperimentato l'amore degli Stilnovisti e lo ha celebrato con le liriche del suo prosimetro intitolato Vita Nova. Il poeta fiorentino si era innamorato di una giovane donna soprannominata Beatrice, per tutelare la quale aveva inventato lo stratagemma della donna schermo. Beatrice aveva rifiutato l'amore di Dante, lo aveva ignorato, lo aveva messo in discussione. Dante dapprima ne soffre, avverte quei sintomi del mal d'amore così perfettamente descritti nelle liriche di Guido Cavalcanti. Ma Dante è il Sommo e non può non superare efficacemente l'esperienza dei poeti dello Stilnovo: nel momento in cui Beatrice gli nega il saluto e lo sguardo, Dante scopre che può continuare ad amarla, che amare significa continuare a donarsi senza chiedere alcun guiderdone, che l'amore è un atto gratuito, che serve a renderci persone migliori, ad elevarci spiritualmente, ci consente di cogliere la bellezza del creato, la sua perfezione, ed è allora che si trova Dio.

Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: "Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.117

Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?".120

E quella a me: "Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
123

Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.126

Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.129

Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.132

Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,135

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante".
138

Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse.141

E caddi come corpo morto cade.

Il poeta fiorentino si rivolge per un ultima volta a Francesca e le chiede di narrargli le circostante della loro infatuazione: Francesca e Paolo sono state le vittime inconsapevoli della letteratura cortese, di quei romanzi cavallereschi che circolavano in forma manoscritta tra le corti di tutto il Vecchio Continente. La passione è nata da un'esperienza di lettura condivisa, quando entrambi hanno letto la loro personale condizione nelle vicende del prode Lancillotto e della regina Ginevra, un amore intenso ed adultero che ha avuto una tragica conclusione. Francesca rammenta l'istante in cui il primo bacio non fu più procrastinabile, quando il tempo della narrazione è stato perfettamente congruente con la realtà dei due infelici amanti.

Paolo piange. Dante, commosso, sviene. Ora, sappiamo che gli svenimenti di Dante spesso non sono altro che espedienti narrativi per facilitare il racconto del passaggio da una parte all'altra dell'Inferno. Ma qui lo svenimento del poeta ha probabilmente un significato ben preciso: Dante è veramente commosso? Oppure è scandalizzato? E' lecito chiederselo. 
La mia iniziale solidarietà nei confronti di questi due giovani amanti si è incrinata improvvisamente dopo aver visto questo video del prete youtuber Don Alberto Ravagnani:


Tanto per riassumere i contenuti del suddetto video:

  • innamoramento e amore sono due cose completamente diverse, il primo può passare il secondo resta,
  • noi non siamo soltanto le nostre emozioni, ma anche la nostra intelligenza, la nostra creatività; insomma, oltre le emozioni c'è molto altro.
  • amare significa continuare ad amare qualcuno anche quando non lo sopporti, anche quando c'è la malattia, la povertà, anche quando intervengono i piccoli e grandi drammi quotidiani.
  • Amare è dare, ed in questo dare ci si sente appagati, si riceve sempre qualcosa.

Insomma, Paolo e Francesca sono giovani e innamorati e noi non li giudichiamo per questo, come d'altronde fa Dante in persona. Ma hanno fatto la loro scelta, hanno scelto di cedere all'istinto e alla passione. Se ci fossero stati dei figli nel suo matrimonio, Francesca quasi di sicuro avrebbe coinvolto delle anime innocenti in questa sua decisione. Sembra cinico da parte mia dire tutto ciò con facilità, ma decidere di peccare significa assumersi la responsabilità delle conseguenze delle proprie azioni.

Per questo, a mio parere, Dante non sviene perché condivide con i protagonisti del canto V il dolore e la sofferenza della loro triste vicenda, ma perde i sensi perché il poeta maturo della Commedia ha sostituito il poeta giovane, fresco e inconsapevole delle Rime petrose e della Vita Nova; il poeta maturo della Commedia ha superato definitivamente lo Stilnovo.



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