LA LIBERTA' DI CATONE - Commento al Canto I (Commedia, Purgatorio)



Gustave Doré, Dante e Virgilio al cospetto di Catone, Purgatorio, canto I, calcografia, 1855.


La caduta di Lucifero e lo spostamento della crosta terrestre verso il centro della terra, nel punto dell’impatto dell’angelo ribelle, ha consentito la formazione nell’emisfero australe della cosiddetta montagna del Purgatorio. Dante giunge ai lidi dell’isola su cui si erge la montagna, tramite percorsi ipogei, guidato da Virgilio suo maestro spirituale; e dopo tanto patire, dopo l’atroce spettacolo dei supplizi infernali, sporco di fuliggine, torna a rivedere la luce del sole. 

Solitamente le anime purganti (di questo ci informerà Dante stesso nel II canto del Purgatorio) giungono qui traghettate da un angelo nocchiero, che le recluta alla foce del Tevere. Una volta accolti dal guardiano del secondo Regno dell’Oltretomba, protagonista in assoluto di questo I canto, gli spiriti purganti sono esortati ad un percorso in salita (arduo ed estremamente faticoso all'inizio, semplice e agevole alla fine) attraverso l’erta rocciosa dell’Antipurgatorio e le sette cornici del Purgatorio propriamente detto. 

Nella prima sezione di questa montagna, sostano per un periodo relativamente lungo le anime degli scomunicati e dei tardi a pentirsi. Il poeta fiorentino più volte manifesta alla sua guida perplessità e scoramento nel tentativo di attraversare la parete rocciosa dell’Antipurgatorio (una scalata che si concluderà nel IX canto). Virgilio d’altronde si stupirebbe del contrario, essendo conscio delle leggi divine e delle dinamiche della redenzione. 

D’altronde il Purgatorio è la porta del Paradiso e la strada che conduce al Regno dei Cieli è angusta e tortuosa (Matteo 7,13). 

La sezione contraddistinta dal percorso di espiazione è divisa in sette cornici e vi si accede tramite una porta pesantissima sorvegliata da un angelo armato di spada e seduto su un trono, collocato sopra uno stilobate di tre gradini policromi. Dante percorre indistintamente tutte e sette le cornici, partecipa in poco tempo ad un corso accelerato di pentimento e misericordia. Al termine della sua salita accederà al Paradiso terrestre: qui Virgilio si dileguerà e, introdotta da un corteo trionfale, su un carro trasportato da un ippogrifo, farà il suo ingresso come protagonista attiva della Commedia l’amata Beatrice. 

Dante, purificatosi nelle acque dei fiumi Lethe ed Eunoè, sarà pronto per accedere alla contemplazione della luce di Dio. 



L'illustrazione della montagna del Purgatorio ivi riprodotta è tratta dalla seguente pagina web:https://www.giovannifighera.it/purgatorio-cantica-della-liberta-e-della-misericordia-2/


Il Purgatorio è la cantica che consente al lettore di Dante di riflettere sul pentimento e il perdono. La poesia di Dante, come una nave che solca mari sempre nuovi, si prepara ad attraversare un mare meno crudele di quello appena solcato.


Per correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì crudele; 3



e canterò di quel secondo regno
dove l’umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno. 6



Ma qui la morta poesì resurga,
o sante Muse, poi che vostro sono;
e qui Calïopè alquanto surga, 9



seguitando il mio canto con quel suono
di cui le Piche misere sentiro

lo colpo tal, che disperar perdono. 12


  • Piche: Le figlie di Pierio, re di Tessaglia, ebbero un giorno l'audacia di sfidare nel canto le Muse. Calliope le vinse e per le fanciulle fu subito chiaro che alla sconfitta sarebbe seguita la punizione ("disperar perdono" Pg. I,12). La Musa, infatti, le tramutò in gazze (piche).


Come nell’incipit di qualsiasi poema epico, le prime due terzine del proemio alla seconda cantica costituiscono la protasi, ovvero l’esposizione dell’argomento. Le successive terzine costituiscono l’invocazione alla Musa, ovvero quell’espediente retorico, a cui hanno fatto ricorso tutti i poeti della tradizione che si sono cimentati con la poesia epica. Secondo questo procedimento il poeta si rivela inadeguato e per certi versi indegno di tradurre in poesia la materia epica, così alta e solenne. Dante, qui in particolare, si rivolge a Calliope, la Musa della poesia epica. L’aiuto delle Muse si rende necessario per elevare lo stile di Dante, così abbrutito dalla stesura dei trentaquattro canti dell’Inferno. Il poeta fiorentino chiede di poter essere il destinatario del dono del canto divino, di quella poesia con la quale le Muse umiliarono le superbe e ambiziose figlie di Pierio che le avevano sfidate nel canto con la falsa condizione di essere migliori.


Dolce color d’orïental zaffiro,
che s’accoglieva nel sereno aspetto
del mezzo, puro infino al primo giro, 15



a li occhi miei ricominciò diletto,
tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta
che m’avea contristati li occhi e ’l petto. 18



Lo bel pianeto che d’amar conforta
faceva tutto rider l’orïente,

velando i Pesci ch’erano in sua scorta. 21


  • contristare: rattristare, appesantire.
  • lo bel pianeto: il sole

Dopo tanta oscurità, fiamme, odore di zolfo, fiumi roventi, Dante in questo primo canto, dopo la sezione proemiale ci regala il primo paesaggio contenuto nella poesia della Commedia: un cielo limpido e terso, del medesimo colore dello zaffiro. Il cielo sereno è una sorta di benvenuto per i due poeti: il peggio è passato e adesso possono contemplare la luce del giorno ed essere sfiorati dai raggi del sole. La luce interviene per la prima volta come compagna di viaggio di Dante nel suo cammino di redenzione. Tutte le anime purganti del secondo regno dell’Oltretomba si renderanno conto che Dante è ancora un coacervo di anima e corpo, grazie alla contemplazione della sua ombra che lui inconsapevolmente e spontaneamente proietta al suolo.

E’ primavera e il sole sorge in corrispondenza della costellazione dei pesci. D’altronde quale migliore stagione, se non quella in cui è morto e risorto il Redentore, per poter intraprendere un cammino di redenzione?


I’ mi volsi a man destra, e puosi mente
a l’altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch’a la prima gente. 24



Goder pareva ’l ciel di lor fiammelle:
oh settentrïonal vedovo sito,
poi che privato se’ di mirar quelle! 27



Com’io da loro sguardo fui partito,
un poco me volgendo a l’altro polo,
là onde ’l Carro già era sparito, 30



vidi presso di me un veglio solo,
degno di tanta reverenza in vista,
che più non dee a padre alcun figliuolo. 33



Lunga la barba e di pel bianco mista
portava, a’ suoi capelli simigliante,
de’ quai cadeva al petto doppia lista. 36



Li raggi de le quattro luci sante
fregiavan sì la sua faccia di lume,

ch’i’ ’l vedea come ’l sol fosse davante. 39


  • la prima gente: i progenitori,Adamo ed Eva.
  • settentrional vedovo sito: l'emisfero boreale.
  • altro polo: l'occidente.
  • veglio: vecchio


Dante volge il suo sguardo verso est e contempla la luce di quattro stelle luminose e bellissime che il genere umano non può vedere in quanto raccolto sull’emisfero opposto. Queste stelle, simbolo delle quattro virtù teologali (fortezza, prudenza, costanza e temperanza). Chi possiede queste qualità può veramente riconciliarsi con Dio, presentarsi al cospetto del Padre celeste e dirgli: “Padre, perdonami, ho commesso delle mancanze nei tuoi confronti, ti prometto che non ti mancherò più di rispetto”. In un certo senso Dante non esagera quando dice che l’emisfero boreale è disgraziato, in quanto orfano delle fiammelle di queste stelle. Non è forse evidente a tutti che l’occidente capitalista e consumista ha perso di vista la luce di queste quattro stelle polari?

Ma ecco che volgendo lo sguardo a ovest (dove era tramontata la costellazione dell’Orsa maggiore, ovvero il Carro), gli occhi di Dante incontrano la sagoma di un uomo in età avanzata, che passeggia solo soletto. La descrizione che ne fornisce il nostro poeta fiorentino è lo stereotipo visivo del vecchio saggio: barba e capelli canuti e lunghi che si addensano sulle spalle e sul petto del soggetto in questione. La luce delle quattro stelle, di cui sopra, illumina il suo volto con l’intensità di un faro posizionato a pochi metri di distanza (Dante addirittura asserisce come’l sol fosse davante).


"Chi siete voi che contro al cieco fiume
fuggita avete la pregione etterna?",
diss’el, movendo quelle oneste piume. 42



"Chi v’ ha guidati, o che vi fu lucerna,
uscendo fuor de la profonda notte
che sempre nera fa la valle inferna? 45



Son le leggi d’abisso così rotte?
o è mutato in ciel novo consiglio,
che, dannati, venite a le mie grotte?". 48



Lo duca mio allor mi diè di piglio,
e con parole e con mani e con cenni
reverenti mi fé le gambe e ’l ciglio. 51



Poscia rispuose lui: "Da me non venni:
donna scese del ciel, per li cui prieghi
de la mia compagnia costui sovvenni. 54



Ma da ch’è tuo voler che più si spieghi
di nostra condizion com’ell’è vera,
esser non puote il mio che a te si nieghi. 57



Questi non vide mai l’ultima sera;
ma per la sua follia le fu sì presso,
che molto poco tempo a volger era. 60



Sì com’io dissi, fui mandato ad esso
per lui campare; e non lì era altra via
che questa per la quale i’ mi son messo. 63



Mostrata ho lui tutta la gente ria;
e ora intendo mostrar quelli spirti
che purgan sé sotto la tua balìa. 66



Com’io l’ ho tratto, saria lungo a dirti;
de l’alto scende virtù che m’aiuta
conducerlo a vederti e a udirti. 69


  • il cieco fiume: il Cocito.
  • movendo quelle oneste piume: agitando la testa e contraendo il volto.
  • novo consiglio: una nuova legge, una nuova risoluzione.


Il vecchio solitario è sconvolto dalla presenza di Dante e Virgilio: non si capacità come siano riusciti a raggiungere la spiaggia dell’isola del Purgatorio da soli e per giunta attraverso il regno dei dannati. L’apostrofe dell’onesto vegliardo, che evidentemente è il custode di quell’isola, ha un’estensione di tre terzine (vv.40-48). Virgilio lo ha riconosciuto, sa bene chi è costui. Non ci pensa due volte, afferra Dante e con gesti e movenze lo costringe a prostrarsi di fronte ad una personalità tanto illustre.
Virgilio spiega che il viaggio di Dante è stato voluto dal cielo. Una donna (Beatrice), ambasciatrice della volontà divina, si era recata da Virgilio e lo aveva invitato a soccorrere Dante impelagato nella selva del peccato.  L’intervento del poeta latino è stato davvero necessario, un'autentica questione di vita o di morte. Se non lo avesse soccorso, Dante sarebbe morto spiritualmente, sarebbe incorso in una condizione per giunta peggiore a quella prospettata dalla morte spirituale. Il viaggio di Dante era una direzione obbligata, l’unica opzione che gli si prospettava per poter uscire dalla condizione peccaminosa, redimersi e salvare la sua anima.
Virgilio lo ha invitato alla meditazione sul peccato e adesso salendo la montagna del Purgatorio lo indurrà alla riflessione sul perdono e sulla misericordia; ma la guida di Dante non ha fatto tutto da solo: se non ci fosse stato l’intervento della virtù divina (perché è Dio che sceglie di salvarci nella sua infinita misericordia) Dante non sarebbe mai arrivato al cospetto del guardiano del Purgatorio.


Or che di là dal mal fiume dimora,
più muover non mi può, per quella legge
che fatta fu quando me n’usci’ fora. 90



Ma se donna del ciel ti move e regge,
come tu di’, non c’è mestier lusinghe:
bastisi ben che per lei mi richegge. 93



Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso,
sì ch’ogne sucidume quindi stinghe; 96



ché non si converria, l’occhio sorpriso
d’alcuna nebbia, andar dinanzi al primo
ministro, ch’è di quei di paradiso. 99



Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
là giù colà dove la batte l’onda,
porta di giunchi sovra ’l molle limo: 102



null’altra pianta che facesse fronda
o indurasse, vi puote aver vita,
però ch’a le percosse non seconda. 105



Poscia non sia di qua vostra reddita;
lo sol vi mosterrà, che surge omai,
prendere il monte a più lieve salita". 108



Così sparì; e io sù mi levai
sanza parlare, e tutto mi ritrassi
al duca mio, e li occhi a lui drizzai. 111


non c'è mestier: non è necessario, non è opportuno:

un giunco schietto: fresco, appena germogliato.

ad imo ad imo: nella parte più bassa, immediatamente adiacente ai flutti marini.

indurasse: che mettesse radici.



Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino, Il suicidio di Catone, 1641, olio su tela, 135 x 139 cm, Genova, Museo di Palazzo Rosso.


La parte conclusiva del discorso di Virgilio svela l’identità del vecchio solitario: si tratta di Catone Uticense, esponente del partito degli optimates che, dopo la vittoria di Cesare al termine della guerra civile, si era rifugiato ad Utica, a pochi chilometri a nord di Cartagine. L’Uticense preferì darsi la morte piuttosto che cadere nelle mani del nemico, essere costretto a chiedere perdono al nuovo dittatore dei Romani ed accettare delle nuove istituzione in cui non credeva. Questo nuovo personaggio è il simbolo della libertà, del libero arbitrio, di quella facoltà che è la conditio sine qua non di ogni rapporto d’amore e di amicizia. Se ami qualcuno lascialo libero. Allo stesso modo, Dio che ti ama infinitamente, non ti obbliga a riamarlo, ti lascia libero di decidere se ricambiare quest’amore unico e incondizionato. 

Dante è vivo e può salvarsi, ha scelto di seguire Virgilio e di salvarsi. Quest’ultimo non è prigioniero della voragine infernale, perché vive nel Castello degli spiriti magni, dove risiede anche la bella Marzia, moglie fedele e pia di Catone Uticense. 

Il ricordo della moglie ancora scalda il cuore del guardiano del Purgatorio sebbene lui abbia ormai accettato da secoli l’incarico che gli è stato affidato dalla divina Provvidenza (quella legge che fatta quando me n’uscì fora). Ma non sono queste parole di Virgilio a spingere Catone ad accogliere i due poeti. Se attraverso Beatrice è stata propagata in tutto l’universo la decisione di Dio, allora non occorre discutere questa risoluzione.

Catone invita Virgilio a condurre Dante in una zona paludosa della spiaggia dove dal fango nascono molli giunchi. Il sole che sorge mostrerà con la sua luce la strada che i due poeti dovranno battere per iniziare la salita. Catone si dilegua senza indugiare in nuove indicazioni.


El cominciò: "Figliuol, segui i miei passi:
volgianci in dietro, ché di qua dichina
questa pianura a’ suoi termini bassi". 114



L’alba vinceva l’ora mattutina
che fuggia innanzi, sì che di lontano
conobbi il tremolar de la marina. 117



Noi andavam per lo solingo piano
com’om che torna a la perduta strada,
che ’nfino ad essa li pare ire in vano. 120



Quando noi fummo là ’ve la rugiada
pugna col sole, per essere in parte
dove, ad orezza, poco si dirada, 123



ambo le mani in su l’erbetta sparte
soavemente ’l mio maestro pose:
ond’io, che fui accorto di sua arte, 126



porsi ver’ lui le guance lagrimose;
ivi mi fece tutto discoverto
quel color che l’inferno mi nascose. 129



Venimmo poi in sul lito diserto,
che mai non vide navicar sue acque
omo, che di tornar sia poscia esperto. 132



Quivi mi cinse sì com’altrui piacque:
oh maraviglia! ché qual elli scelse
l’umile pianta, cotal si rinacque 135



subitamente là onde l’avelse.


  • pugna: combatte.
  • ad orezza: all'aria aperta, alla brezza mattutina.
  • si dirada: evapora.
  • lito: lido, spiaggia
  • l'avelse: la strappò


Dante contempla il sole che sorge, la luce che si infrange tremando sulla superficie dell’acqua. I due poeti raggiungono il luogo indicato loro da Catone. Virgilio con un gesto affettuoso e paterno pulisce il volto di Dante, sozzo di fuliggine e di pianto. Dopo aver reciso un fuscello di giungo (che si rigenera subito dopo) dalla fronda paludosa, cinge con esso i fianchi di Dante. Il poeta si veste quindi di umiltà: è pronto ad espiare i suoi peccati.


Bibliografia


  • Dante Alighieri, Purgatorio, Divina Commedia a cura di U. Bosco e G. Reggio, Le Monnier Scuola, Firenze 2011.
  • Dante Alighieri, Purgatorio, commentato da F. Nembrini, illustrazione di G. Dell'Otto, prefazione di A. D'Avenia, Mondadori, Milano 2020.
  • divinacommedia.weebly.com 


Commenti

Post più popolari