L'ITALIANO LETTERARIO DI FRANCESCO PETRARCA


Nell'immagina fotografica: Altichiero, Francesco Petrarca e Lombardo della Seta, (particolare da San Giorgio battezza re Sevio)affresco, 1376 circa, Padova, Oratorio di San Giorgio.

Prima che per le poesie scritte in vita e morte di madonna Laura, Francesco Petrarca è diventato un punto di partenza per la sua lingua, che venne promossa da Pietro Bembo nel dialogo intitolato Prose della volgare lingua come esempio di bello stile, a cui dovevano uniformarsi tutti quei poeti che avessero aspirato a cingere la loro testa di alloro. Quando si studia il Canzoniere (la raccolta Rerum vulgarium fragmenta), è estremamente facile confrontarsi con testi espositivi che discutono della struttura e dei temi della raccolta, sottolineando la particolare concezione dell’amore del poeta toscano e il famigerato monolinguismo, che lo avrebbe contraddistinto da Dante, suo illustre predecessore. In questo particolare contesto, dopo una rapida (e forse distratta) analisi linguistica di un campione delle poesie della raccolta petrarchesca, proponiamo una rassegna dei tratti linguistici emergenti. Non so quanto la conoscenza di tali caratteristiche possa facilitare l’approccio alla lettura delle poesie del Canzoniere, ma la consapevolezza dei fenomeni linguistici tipici di un idioletto è un buon “integratore” di educazione linguistica.


I sostantivi

Le parole che più di tutte caratterizzano la scrittura di Francesco Petrarca sono: affanno, sospiri, errore, Amore (con la lettera maiuscola, come per indicare la personificazione del sentimento d’amore, un Dio pagano assimilabile a Eros del pantheon greco), desir, disiò, forma, guida, lumi, pietà, perdono, i rai, schermo, scorno, sembianza, speme, vergogna, vestigio.

Predilezione per le forme nominali sincopate (ovvero quelle parole che nella trafila dalla base etimologica all’esito romanzo hanno perso un nucleo sillabico): carco, spirto, alma, disio, dardo.


Gli aggettivi

Gli aggettivi esornativi vengono molto spesso collocati prima del sostantivo a cui si riferiscono. I più rappresentativi dell’idioletto poetico petrarchismo sono: angelico, aspro, 

carco, fallace, dolente, dubbioso, gentile, grave, ignudo, lasso, leggiadro, scemo, selvaggio, travagliato, usato, vago.


Altre parti del discorso

Estremamente caratteristiche sono le interiezioni omai, pur, ahimè: in una poesia ricca di sospiri e struggimenti decisamente non possono mancare. 

Allo stesso modo, altri due marchi di fabbrica della lingua petrarchista sono la locuzione avverbiale per fermo (sicuramente) e indarno (inutimente). Secondo la nota etimologica del TLIO (Tesoro della Lingua Italiana delle Origini), l’etimo di quest’ultimo avverbio è incerto: potrebbe derivare dal gotico darns oppure dal latino volgare inderenare, rendere inutile, inerte.

Gli articoli determinativi seguono la dinamica descritta dalla legge Groeber: si ricorre a IL quando l’articolo è collocato tra una parola terminante per vocale e un’altra incipiente per consonante. L’articolo LO, che comunque viene utilizzato con maggior frequenza, viene collocato quando la parola precedente si chiude con una consonante (II, VV. 3-4: celatamente Amor l’arco riprese,/ come huom ch’a noce luogo e tempo aspetta)

Le preposizioni articolate non sono univerbate, quando sono formate con gli articoli determinativi lo, la e i corrispondente plurali gli e le. Il Petrarca non impiega il dittongamento toscano bei contesti in cui è consentito (nocer e non nuocer; core e non cuore).


Verbi

Le forme verbali più ricorrenti sono invece: aitare, gire, ragionar, sospirare, sperar, trarre, vaneggiar, veggere (vedere). In quest’ultima forma verbale al posto della dentale in posizione intervocalica abbiamo l’africana preparatale sonora intensa (veggio, cheggio, seggio) 

Abbastanza ricorrente il costrutto fraseologico costituito da una voce del verbo andare più il gerundio semplice (o gerundio presente) che descrive un’azione in via di svolgimento: es. così lasso talor vo cercando (Canzoniere, XVI); solo e pensoso i piu deserti campi vo mesurando a passi tardi e lenti (Canzoniere, XXXV, vv. 1-2)

I verbi all’imperativo sono spesso soggetti alla Legge Tobler Mussafia, ossia la posposizione univerbata al predicato del pronome personale atono (es XIV, vv. 1-4: Occhi miei lassi, mentre ch’io vi giro/ nel bel viso di quella che v’à morti,/ pregovi siate accorti, ch<è già vi sfida Amore, ond’io sospiro). - NOTA: per una descrizione dei diversi contesti di applicazione della suddetta legge linguistica si veda RENZI L. (1994), Il posto dei pronomi clitici, in Nuova introduzione alla filologia romanza, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 275-282 - 

Gli imperfetti in ea per la prima e terza persona singolare, relativamente ai predicati appartenenti alla seconda coniugazione, ricorrono con estrema frequenza (dolea, avea, avvolgea, etc.).


Sintassi 

Tra le secondarie, Petrarca predilige le finali implicite realizzate con la preposizione per immediatamente seguita da un infinito, oppure le temporali esplicite introdotte da quando. Tra le subordinate implicite, particolarmente interessanti sono quei costrutti costituenti una sorta di calco del famigerato ablativo assoluto (oppure genitivo, dal momento che Petrarca conosceva anche il greco antico) come ad esempio il sonetto III, ai vv, 9-11: Trovommi Amor del tutto disarmato/ et aperta la via per gli occhi al core,/ che di lagrime son fatti uscio e varco.

Le frasi più eleganti sono quelle che presentano l‘anteposizione del complemento diretto. 

La proposizione consecutiva è funzionale alla figura retorica dell‘iperbole, figura retorica non particolarmente amata dal Petrarca, la cui scrittura è quasi del tutto priva di tali subordinate.

La causale viene introdotta molto spesso dal connettivo chè, discriminato dal pronome relativo indeclinabile dalla presenza dell‘accento grafico. 

Per quanto concerne la sintassi del periodo, lo sviluppo di una proposizione indipendente o subordinata lungo un solo endecasillabo (es. III, v.11: che di lagrime son fatti uscio e varco), oppure di un singolo sintagma, rende episodico il ricorso all’enjambement marcando la ritmicità del verso, conferendogli una prosodia poco prosaica, ma anzi molto lirica e musicale.


Ortografia

L’ortografia è rispettosa della base etimologica delle forme verbali e nominali, pertanto non di rado compaiono delle H, che nella scrittura dei poeti e dei prosatori più recenti si sono del tutto dileguate: es. sonetto IV, v.3 e v. 11, hemispero e humilitate. Allo stesso modo il digramma ti serve per identificare graficamente l’affricata alveolare sonora (es. sonetto VII, v.1: La gola e’l sonno et l’otiose piume)e i nessi consonantici ct e mn non vengono sciolti in nelle rispettive assimilazioni regressive tt e nn (IX, v.9: onde tal fructo et simile si colga; X, v.1: Gloriosa columna in cui s’appoggia).


Lo studiolo del Petrarca fu il laboratorio in cui è stata prodotta la lingua artefatta, elegante e preziosisma della tradizione poetica italiana. E’ una lingua veicolata attraverso le opere dei maestri del canone della letteratura italiana, che si è propagata e perfettamente conservata dal XIV secolo fino a Leopardi, sebbene ogni autore fosse stato comunque spinto a forgiarla secondo le proprie esigenze stilistiche. 


Bibliografia

  • TROVATO, P. (1979), Dante in Petrarca. Per un inventario dei dantismi nei “Rerum vulgarium fragmenta”, Firenze, Olschki.
  • VITALE, M. (1996), La lingua del Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta) di Francesco Petrarca, Padova, Antenore.
  • SERIANNI L. (1998), Lezioni di grammatica storica, Roma, Bulzoni.
  • TONELLI, N. (1999), Varietà sintattica e costanti retoriche nei sonetti dei “Rerum Vulgarium Fragmenta”, Firenze, Olschki.
  • SERIANNI, L.(2009), La lingua poetica italiana. Grammatica e testi, Roma, Carocci.

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