SCRITTO E PARLATO


Esiste una differenza sostanziale tra la lingua scritta e quella parlata. Forse, nel titolo, avrei fatto meglio ad invertire i termini della coppia nel loro ordine di successione, in quanto l'oralità precede la scrittura (che è stata verosimilmente inventata nel 3000 a.C. in Mesopotamia dai Sumeri), e quest'ultima è in un certo senso una trasposizione grafica della prima. La scrittura evoca immediatamente l'idea di un contenuto che deve essere tramandato ai posteri, la cui conservazione richiede necessariamente la cristallizzazione su un supporto scrittorio materiale e oggettivo. Poiché chi comunica il suo pensiero attraverso la scrittura non ha nessun diritto di replica e non ha la possibilità di chiarire, o specificare alcuni significati del suo messaggio, è necessario che il rigore formale e la chiarezza espressiva siano un requisito necessario del linguaggio verbale scritto. Con il parlato è tutto molto più immediato ed è possibile trascurare la programmazione preliminare di quanto si intende trasmettere: d'altronde, quante volte si preferisce inviare un vocale piuttosto che scrivere un lungo messaggio, con il rischio che quanto è stato faticosamente scritto venga travisato dal destinatario, magari proprio per un errore formale che compromette la reale comprensione del contenuto della comunicazione.
Le caratteristiche salienti della scrittura possono essere così sintetizzate:
1) il controllo dell'ortografia e della distribuzione dei segni diacritici e paragrafematici;
2) una pianificazione più o meno elaborata dell'ordine dei contenuti;
3) la revisione finale, per assicurarsi che quanto è stato scritto sia effettivamente comprensibile, chiaro, corretto ed adeguato alle competenze linguistiche del proprio interlocutore.
Nell'era dei social, di Facebook e di Whatsapp, la questione non è però cosi semplice: la schematica classificazione di scritto e parlato viene complicata dalla presenza, nella comunicazione quotidiana, della categoria dell'italiano digitato, la varietà linguistica scritta, caratteristica dei social, dove scritto e parlato si accostano fino a creare un originalissimo ibrido. 
 

Logo di una esilarante pagina Facebook

La facies della scrittura 2.0 è talmente nota a tutti, che persino su Facebook sono nati gruppi, all'interno dei quali avvengono delle discussioni in cui si stigmatizza il comportamento di alcuni membri della comunità dei parlanti, predisposti ormai quasi naturalmente al disinvolto inserimento di inferenze diamesiche all'interno dei loro testi digitali.
Anche Miriam Voghera non è stata disposta ad accettare la mera suddivisione binaria tra scritto e parlato e aggiunge alla coppia il terzo elemento del trasmesso.
Al di là delle sfumature che recentemente, sempre più spesso, sfumano i confini tra scritto e parlato, per cui anche il parlato in alcune particolari circostanze può essere caratterizzato da rigore formale e controllo del registro linguistico (la discussione di una tesi di laurea, la relazione di un esperto che interviene con il suo contributo all'interno di una conferenza, gli annunci televisivi, il discorso del Presidente della Repubblica alla Nazione la sera del 31 dicembre di ogni anno etc.) e lo scritto da mancata adesione alla norma grammaticale (gli scritti degli incolti, come ad esempio alcuni testi prodotti da studenti poco zelanti o il post su Facebook della famigerata casalinga di Voghera che si lamenta dell'innalzamento del presso dei fagiolini), il parlato della conversazione quotidiana, delle interazioni verbali tra membri della comunità dei parlanti, delle battute che scandiscono un dialogo in famiglia, presenta invece delle caratteristiche che solitamente (almeno nei supporti bibliografici utilizzati per l'educazione linguistica all'interno delle scuole italiane) non vengono descritte nei manuali di grammatica (che, appunto, suggeriscono norme per una corretta scrittura, non per un'apprezzabile orazione). Secondo il Manuale di linguistica italiana di SERIANNI/ANTONELLI (2011), il parlato può essere codificato da specifiche regole grammaticali che  lo differenziano notevolmente dallo scritto, almeno nel lessico, nella sintassi e nella testualità; e quali sono questi tratti peculiari e caratterizzanti?
1) il dominio della varietà (di qualsiasi tipologia, diatopica, diastratica, diamesica, diafasica; tempo fa avevo pensato ad un post sulla variabilità linguistica e credo che, per facilitare l'intelligenza di alcune sezioni dei miei testi, sia opportuno rispolverare questo progetto);
2) il duplice stato di parlato monologico/parlato dialogico;
3) la correlazione con la prossemica e la mimica facciale;
4) la correlazione, in alcuni casi, con le norme della pragmatica che concepisce ogni atto locutorio come una vera e propria azione recante delle specifiche conseguenze sociali;
5) un lessico frequentemente animato dalla presenza di nomi e aggettivi qualificativi alternati, segnali discorsivi e interiezioni.
6) perifrasi e costrutti che non sempre vengono descritti nei testi che parlano di sintassi dell'italiano standard (e che recentemente sono in fase di standardizazione).

VARIETA', MIMICA, PROSSEMICA

Quando sono con i miei amici e ho necessità di indicare l'indumento che si indossa quando si cucina, posso tranquillamente ricorrere ad un lessema alternativo al toscano grembiule. Chiunque potrebbe tradire la sua provenienza geografica, ricorrendo alla forma nominale parannazi e dichiarando indirettamente di avere origini campane (la mia mamma della bassa Sabina lo chiamava, ad esempio, sinale). 
Nella conversazione quotidiana informale non si è mai particolarmente esigenti con il lessico, non si è obbligati a scegliere solo ed esclusivamente le parole censite sui principali dizionari della lingua italiana; inoltre, le pause che intervallano i discorsi non assecondano quasi mai la sintassi del testo orale, ma sono modulate sulla base di dinamiche che travalicano il contesto linguistico (l'esigenza di respirare o di deglutire, un'interruzione improvvisa, la ricerca momentanea di una parola che possa coronare adeguatamente l'esposizione di un pensiero etc.); si può dare spazio alla deitticità (questo qui, quello là) e rinviare costantemente a persone, cose, animali, questioni e ricordi lontani nel tempo e nello spazio, o comunque esterni alla conversazione.
Se qualcuno rivolge gli auguri di buon compleanno ad un'amico, senza guardare quest'ultimo negli occhi, palesando un'espressione ieratica e inespressiva, scevra di sorriso, magari mantenendo due metri di distanza, è evidente a chiunque che il contenuto del suo messaggio non si limita all'atto locutorio dell'augurio di una lunga vita. Il corpo e il volto di una persona comunicano quanto il mero linguaggio verbale. Se nella dimensione della scrittura questi fattori non entrano minimamente in gioco (nel trasmesso/digitato è stato necessario introdurre segni, simboli, emoticon ed emoji), nel parlato sono aspetti quasi fondamentali.

LA DIMENSIONE DEL DIALOGO

A proposito delle conversazioni, non tutti sanno che negli anni Settanta un filosofo inglese di nome Paul Grice ha stabilito un gruppo di quattro norme per il buon funzionamento dell'interazione verbale tra due soggetti che conversano. Le massime di Grice sono le seguenti:
  • massima di qualità: fornire un contributo autentico e valido;
  • massime di quantità: non essere reticenti né ridondanti;
  • massime di relazione: essere sempre pertinenti all'argomento della conversazione;
  • massime di modo: evitare oscurità ed ambiguità.
Le massime sono regole che rimangono comunque validissime per una conversazione efficace anche quando vengono violate. Nelle sue opere sulle massime conversazionali, Paul Grice specificava anche quali sono i momenti che individuano il passaggio del banco del discorso da un interlocutore ad un altro, chiamati punti di rilevanza transazionale e caratterizzati da eventi fonici come particolari intonazioni, abbassamento del volume della voce, oppure pause piuttosto lunghe. 
Esistono inoltre alcune conversazioni estremamente brevi che si possono esaurire dopo due semplici battute, chiamate sequenze complementari: ad es. - Come stai? - Bene! (in questo determinato esempio il ricorso alla chiusura "Bene!" è fondamentale per delimitare alla fine la sequenza complementare; se il secondo interlocutore avesse detto "Malissimo! Il mio corpo vive, ma il mio spirito è morto!", allora lo scambio di opinioni non si sarebbe di certo arrestato lì, ed il primo parlante avrebbe proseguito ad interrogare il suo amico o la sua amica per saggiare l'effettiva consistenza del suo malessere).
Senza addurre alcun esempio in merito, dal quanto sinora delineato si evince che il rispetto o la trasgressione delle norme conversazionali di Grice possono essere individuate in quei testi narrativi in cui sono presenti delle sequenze dialogiche.

LA DIMENSIONE PRAGMATICA

L'oralità si presta, molto più della scrittura, ad un'analisi pragmatica. Spieghiamo che cos'è la linguistica pragmatica, altrimenti i non addetti ai lavori interrompono in questo preciso momento la lettura del presente post. In soldoni, la pragmatica è quella parte della linguistica che intende gli enunciati ed i fatti di lingua come delle vere e proprie azioni foriere di relative conseguenze (Cfr. BERRUTO/CERRUTI, 2017 p. 219: "In questa visuale, la lingua è studiata come modo di agire, e non più come sistema di comunicazione o come riflessione verbale del pensiero: il criterio di analisi è all'incirca 'che cosa si fa, che azione si compie quando si dice qualcosa?'."). Una frase, un enunciato, un'espressione verbale sono, secondo questa prospettiva degli atti, classificabili secondo la seguente triplice classificazione (non me ne vogliano i linguisti veri e propri, per la mia mancanza di rigore scientifico!):
  • atti locutori - sono frasi che hanno semplicemente lo scopo di veicolare un significo o un insieme di significati, ad es. le frasi semplici contenenti un predicato nominale: il diabete è una malattia molto subdola.
  • atti illocutori - sono frasi che sollecitano una risposta più o meno immediata nel ricevente; non necessariamente devono contenere un imperativo o un congiuntivo esortativo; anche semplicemente affermare ad alta voce In questa casa, come al solito sono l'unica che mette in ordine mira a sollecitare un aiuto nelle faccende domestiche da parte di coloro che in quel momento si trovano nella medesima stanza.
  • atti perlocutori - sono frasi che in sé lasciano intendere palesemente l'azione e la conseguenza corrispondente.

IL LESSICO

Le parole che utilizziamo nell'oralità più informale sono incluse nel gruppo dei lessemi ad altra frequenza e sono contemplate nel Vocabolario di Base (Cfr. DE MAURO, 1980). Caratteristiche del lessico della conversazione quotidiana e dell'italiano trasmesso (o digitato che dir si voglia!) sono:
- utilizzo di forme nominali e verbale semanticamente generiche, che non individuano un'oggetto, un essere umano o un animale ben determinato, come ad es. cosa, roba, persona, e le varie voci del verbo fare;
- frequente alterazione, tramite suffissazione, delle forme nominali, ma anche di altre parti del discorso, come nell'interiezione ciaone. Si vedano, ad esempio, attimino, oretta, momentino, ragazzino, ragazzetta, vecchietto, cosuccia, robetta etc;
- assiduo utilizzo di aggettivi qualificativi come mostruoso, allucinante, pazzesco;
- esclamazioni riconducibili al turpiloquio, che comunque merita un post tutto suo: che palle, due maroni, eccheccazzo etc;
- sovraestensione del pronome personale complemento atono gli al femminile singolare e al plurale;
- utilizzo del pronome anaforico maschile di terza persona singolare lui (egli credo sia morto e sepolto, ma ancora ci intestardiamo a riportarlo negli schemi sinottici che illustrano la flessione verbale sui manuali di grammatica italiana);
- frequente utilizzo del passato prossimo per indicare un'azione del passato, a detrimento del passato remoto che persiste ed è ampiamente utilizzato nell'italiano regionale di alcune aree geolinguistiche del Meridione.
- ricorrente utilizzo di segnali discorsivi, che a loro volta possono essere suddivise in altre sottocategorie:
- formule di attenuazione: per dire, diciamo, in un certo senso;
- formule di esitazione: vediamo, beh, insomma;
- formule di esemplificazione: mettiamo, diciamo;
- formule di riformulazione della frase: voglio dire, cioè;
- formule di controllo dell'avvenuta ricezione: mi senti?, no?, capito?, vero?;
- segnali demarcativi, che aprono e chiudono un discorso: Come va?Come stai?Che si dice?Ciao, A presto, Ci vediamo.


COSTRUTTI SINTATTICI IN CERCA DI GRAMMATICALIZZAZIONE
 
I discorsi delle conversazioni quotidiane, per strada e su Whatsapp, sono spesso caratterizzati da costrutti sintattici che sempre più frequentemente appaiono anche nelle scritture formalmente più controllate, ma che non sempre vengono illustrate nei manuali di grammatica italiana, strumenti privilegiati per l'educazione linguistica degli studenti e delle studentesse italiane:
  • il presente viene sovente utilizzato al posto del futuro, per indicare un'azione programmata: es. Domani vado a prendere mia nipote all'aeroporto;
  • l'imperfetto viene utilizzato nella protasi e nell'apodosi del periodo ipotetico dell'irrealtà e ancora viene percepito come un'anomalia linguistica da correggere (es. Se lo sapevo, venivo); un utilizzo di questo tempo che invece non desta scandalo, e non viene affatto percepito come agrammaticale, è l'impiego al posto del condizionale, per esprimere un desiderio, un proposito, o una richiesta: es. Volevo un mezzo chilo di pane integrale;
  • la dislocazione a sinistra del complemento diretto, che comunque viene ribadito in prossimità del predicato da un pronome personale complemento: es. Il libro di matematica l'ho prestato a Mauro,
  • la frase scissa, ovvero una semplice frase affermativa che viene smembrata per formarne due, una principale con il verbo essere e una subordinata relativa che ha come antecedente il soggetto della reggente: Mario ama leggere - E' Mario che ama leggere.
I due ultimi costrutti sono anche definiti genericamente come frasi marcate.

Forme che invece la maggior parte dei parlanti e degli scriventi percepisce come anomale, e che per ora sono lontane da un eventuale processo di standardizzazione, sono:
  • la sovraestensione del pronome relativo che, anche quando nella corrispondente subordinata relativa non ha la funzione logica di complemento diretto (in questi casi, però, il complemento incarnato dal relativo viene individuato dal un pronome personale complemento atono): es. Ieri ho incontrato un ragazzo che gli ho voluto tanto bene;
  • il che polivalente, magari per introdurre una subordinata causale: es. Dobbiamo sbrigarci, ché è tardi;
  • quel particolare costrutto che Serianni (2011) chiama sospensione del tema programmato, D'Achille (2019)indica come tema sospeso, a scuola si definisce anacoluto. Si tratta di un elemento che campeggia a sinistra della frase semplice e che non ha alcun legame logico con il resto dell'espressione: es. Noi monache le cose piace sentirle per minuto.
In conclusione, voglio condividere con i miei lettori delle semplici riflessioni, che credo siano le medesime di tutti, o gran parte, degli studiosi della lingua italiana. 
Le strutture e le regole della lingua hanno origine nell'oralità, si formano spontaneamente attraverso le interazioni verbali tra i parlanti. I grammatici descrivono questa lingua nei loro contributi, fissano delle semplici norme di comportamento linguistico e con la scrittura le medesime regole vengono cristallizzate. Da qui si definisce lo standard che rappresenta il massimo della correttezza e del controllo formale e che si erge tra le varietà linguistiche come un punto di riferimento. Quando i parlanti ridiscutono di nuovo con l'oralità gli usi linguisticamente ammissibili, e queste nuove forme trovano accoglienza nella scrittura, allora occorre ridiscutere le regole grammaticali, senza pedanteria ed inutili dogmatismi.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  • BERRUTO G. (1987), Sociologia dell'italiano contemporaneo, Roma, Carocci.
  • BERRUTO G./CERRUTI M. (2017), La linguistica. Un corso introduttivo, Torino, Utet.
  • D'ACHILLE P. (2019), L'italiano cntemporaneo, Bologna, Il Mulino.
  • DE MAURO T. (1980), Guida all'uso delle parole, Roma, Editori riuniti.
  • SERIANNI L./ANTONELLI G.(2011), Manuale di linguistica italiana, Milano, Mondadori.
 
 


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