PASSATO REMOTO VS PASSATO PROSSIMO



Illustrazione da CARNEVALI D. et alii (1989), Segni e parole. Educazione alla lingua italiana: manuale, Milano, Fabbri editore, p. 158

Non è raro incontrare in Italia parlanti nativi che non conoscono le specifiche circostanze di impiego di passato prossimo e di passato remoto. Per gli antichi romani non c'era scelta, obbligatorio era l'utilizzo del perfetto. Nel corso delle fasi storiche che videro la nascita delle lingue romanze, alle forme del perfetto si affiancarono, e vennero sempre più implementate, formule perifrastiche, composte dalle voci dei verbi HABERE e ESSE, accompagnato dal participio passato del verbo indicante il significato dell'azione. Con il presente contributo, cercherò di fare luce sull'evoluzione diacronica dei tempi storici in italiano e mettere a fuoco la situazione attuale.

In latino, per esprimere con un verbo un'azione dislocata in un tempo passato, i parlanti dell'Impero romano d'occidente ricorrevano al cosiddetto perfetto, un tempo che si declinava in forma non perifrastica mediante il ricorso ad un'apposita suffissazione. In particolare la classificazione dei diversi perfetti prevede l'individuazione di ben cinque tipologie: 

  • perfetto con tema caratterizzato dal suffisso VI (la V è in realtà un approssimante velare e non una fricatica labiodentale sonora contemplata ad incipit della parola vela), es. AMAVI, TEMUI, AUDIVI;
  • perfetto con tema è caratterizzato dall'apofonia vocalica del tema dell'infinito (più esattamente, il morfema lessicale del tema dell'infinito è in allomorfia con quello che caratterizza il tema del perfetto), es.  FACIO -IS - FECI, CAPIO - IS - CEPI;
  • perfetto  con tema caratterizzato dal suffisso -S (il cosiddetto perfetto sigmatico), ad es. MISI (da MITTO), DUXI (da DUCO),
  • perfetto con tema caratterizzato dal raddoppiamento del nucleo sillabico del morfema lessicale, es CUCURRI, DEDI,
  • perfetto caratterizzato dalla congruenza dell'apposito tema con quello dell'infinito, es. DEFENDI.

Questi temi verbali hanno costituito la base etimologica per la formazione del passato remoto,  che, al netto delle diverse metamorfosi fonetiche e morfologiche nel passaggio dal latino volgare alle diverse varietà linguistiche italo-romanze, costituisce il vero e proprio erede del perfetto latino (cfr. MEYER LUEBKE, 1927: 193-202) . Ancora oggi, presso la scuola primaria e secondaria di primo grado del 2023, il passato remoto costituisce la croce di tanti nativi apprendenti l'italiano come L2, molto spesso in preda al panico di fronte alla formazione di una forma verbale, per la determinazione della quale non possiedono un criterio regolare, univoco ed omogeneo. Il risultato di questo sforzo linguistico traspare da alcuni passaggi, ravvisabili all'interno del corpus digitale di scritture scolastiche in fase di allestimento:

a)



b)


In a) l'apprendente, che frequenta la terza classe di un istituto di istruzione secondaria di primo grado della periferia nord-ovest di Roma capitale, ha dimostrato di misconoscere la morfologia della terza persona plurale del passato remoto del verbo dare (dierono al posto della forma corretta diedero); in b), documento fisicamente in possesso di un apprendente di scuola primaria, presso un istituto comprensivo della periferia sud-occidentale della Capitale, notiamo l'errata forma escì per la terza persona singolare del passato remoto del verbo uscire, nonché la mancata applicazione dell'accento grafico sul nucleo vocalico dell'ultima sillaba della terza persona singolare del passato remoto del verbo andare (ando).

Fortunatamente, per esprimere efficacemente l'idea di un'azione conclusasi nel passato, i membri della moderna comunità dei parlanti che hanno come lingua di riferimento l'italiano standard hanno a disposizione una forma perifrastica caratterizzata dall'impiego simultaneo di un verbo ausiliare (essere o avere) e del participio passato del verbo principale. Si tratta di quel tempo verbale da tutti conosciuto come passato prossimo (cfr. l'illustrazione ad incipit del presente testo espositivo; per la formazione del passato remoto si vedano ROHLFS 1954: 47, TEKAVCIC 1980: 605).

In effetti, gli studiosi di linguistica italiana e gli storici della lingua ancora attivi sono concordi nel registrare una progressiva generalizzazione dell'utilizzo del passato prossimo, e una relativa regressione del passato remoto, ancora lungi da un effettivo dileguo e vitale all'interno di quei contesti diafasici scritti, in cui il rigido controllo formale è d'obbligo: 

Aprii l'armadio e scelsi uno degli abiti da sera che Herta aveva criticato, diverso da quello che avevo indosso al ricevimento. Mi pettinai e mi truccai, anche se forse nel buio Ziegler non lo avrebbe notato. Non aveva importanza: mentre mi spazzolavo i capelli o mi spolveravo le guance di cipria, riscoprivo l'ansia dell'attesa che precede un appuntamento. Erano destinati a lui quei preparativi, a lui che indugiava alla mia finestra come davanti a un altare, quasi fosse troppo timorato per profanarlo. Oppure presentarsi al mio cospetto era il suo modo di affrontare la Sfinge. Io non avevo indovinelli, e nemmeno risposte. Ma, se ne avessi avute, gliele avrei rivelate.
(Cfr. Rossella Postorino, Le assaggiatrici, Feltrinelli, Milano 2018, p. 133)

Come si evince facilmente dalla lettura del suddetto esempio, il passato remoto viene quasi automaticamente accompagnato da altri tempi dell'indicativo che esprimono l'idea di un'azione che si svolge nel passato, come l'imperfetto o il trapassato prossimo (il trapassato remoto effettivamente è in regresso, non solo nel parlato ma anche nello scritto). A questo punto, per chiarire meglio tipologie e funzioni dei diversi tempi verbali del modo indicativo, è opportuno individuare una duplice classificazione dei medesimi in tempi deittici e tempi anaforici.

I deittici sono quei tempi verbali che molto semplicemente esprimono la dimensione di anteriorità, contemporaneità e posteriorità di un'azione: il presente, il futuro semplice, l'imperfetto, il passato prossimo ed il passato remoto.

Gli anaforici sono quei tempi che compaiono soprattutto all'interno di proposizioni subordinate esplicite che stabiliscono dei rapporti di anteriorità o posteriorità con la dimensione cronologica in cui si attua l'azione espressa nella principale, come ad es. il trapassato prossimo, il trapassato remoto ed il futuro anteriore.

Come già precisato, i deittici dell'indicativo che individuano un'azione svoltasi nel passato sono:

- l'imperfetto

- il passato prossimo

- il passato remoto

Il ricorso a tali tempi verbali da parte del parlante medio non è indiscriminato ma obbedisce ad una logica che, al netto delle canoniche questioni grammaticali, sono facilmente intuibili (la classificazione che viene proposta in questa è congruente con quella riportata in D'ACHILLE 2019a, DE SANTIS/PRANDI 2020, SABATINI 1988, SERIANNI 1983).
L
'imperfetto esprime l'idea di un'azione che si svolge nel passato all'insegna della continuità. l'azione viene descritta nella sua intera durata, come un processo che prevede diverse fasi, individuate sinteticamente in un unico tempo verbale (la stessa parola in-perfetto, indica qualcosa di incopiuto, di non concluso).
Gli altri due tempi deittici dell'anteriorità esprimono entrambi un'azione compiuta, ma con risvolti logico-semantici che li differenziano dal punto di vista pragmatico: 

  • il passato prossimo individua un'azione conclusa nel passato, ma i cui effetti hanno ancora un riverbero nel presente,
  • il passato remoto invece indica un'azione definitivamente conclusa nel passato, senza alcuno strascico nella contemporaneità.

Non a caso, quando parliamo della venuta al mondo di una persona ancora in vita, viene spontaneo utilizzare il presente storico o il passato prossimo del verbo nascere: 

Giorgia Meloni, politica e giornalista italiana, è nata a Roma il 15 gennaio 1977 e ha 46 anni (cfr. il sito di Fanpage alla pagina http://www.fanpage.it/politica/chi-e-giorgia-meloni-la-storia-politica-della-prossima-probabile-presidente-del-consiglio/).

Se invece si parla o si scrive di un grande uomo di lettere, non necessariamente morto da svariati secoli, si impiegherà tendenzialmente il passato remoto:

Italo Calvino nacque il 15 ottobre 1923 a Santiago de Las Vegas, nell'isola di Cuba, dove il padre, agronomo di fama mondiale, dirigeva una stazione sperimentale di agricoltura; nel 1925 però la famiglia si trasferì in Italia, stabilendosi a Sanremo. (...). Morì a Siena il 19 settembre 1985 a causa di un'emorragia cerebrale (cfr. BALDI GUIDO et alii, 2019, Le occazioni della letteratura, Pearson-Paravia, Milano 2019, pp. 1006-1007).

Ma se è vero che il passato remoto indica un'azione definitivamente conclusa nell'anteriorità (e mi sembra che non ci sia nulla di più definitivo della dipartita di qualcuno o qualcuna) e che con il passato prossimo indichiamo un'azione che sebbene abbia avuto luogo nel passato produce ancora effetti psicologici nella vita del soggetto, è evidente che la distanza cronologica dal momento dell'enunciazione non costituisce alcun discrimine nella scelta dei due tempi, anche perché, ancora oggi, non apparirebbero come agrammaticali due frasi come 1) Due anni fa andammo in Scozia e 2) Dio ha creato il mondo (entrambi in MARCHESI, 1983: 206 e 220, nuovamente citate da SERIANNI, 1983: 396).

Recenti studi condotti sull'italiano contemporaneo hanno però messo in evidenza che il rapporto tra i due tempi verbali dell'indicativo sta cambiando sensibilmente. Tutti concordano sulla preferenza che i parlanti provenienti dall'Italia accordano al passato prossimo, il quale sembrerebbe invadere contesti una volta occupati stabilmente dal passato remoto. Anche nelle aree geolinguistiche dell'Italia centromeridionale e nel meridione estremo, dove il passato remoto era la scelta immediata per l'indicazione di un'azione avvenuta nell'anteriorità, il passato prossimo comincia a mietere proseliti. 

In generale, almeno nel parlato si assiste oggi ad una progressiva regressione del passato remoto, che rimane invece saldo nella prosa narrativa, nel racconto delle vicende del passato in alcune opere storiografiche, nonché in alcune sentenze e frasi proverbiali, come ad es. Prete spretato e cavolo riscaldato non fu mai bono (cfr. GIORGINI/BROGLIO, 1870-1897: 331).

Ma quali sono i segreti del successo del passato prossimo nell'ambito dell'italiano contemporaneo? Secondo Paolo D'Achille, attuale presidente dell'Accademia della Crusca, le ipotesi più plausibili sono più di una (D'ACHILLE, 2019: 125-127):

1. la sua facile formazione analitica;

2. il mancato ricorso da parte dei parlanti e degli apprendenti a forme verbali che essi stessi non riescono a dominare adeguatamente (si veda il precedente esempio dei testi di scuola secondaria di primo grado e primaria);

3. la tendenza dei parlanti a rapportare al presente qualsiasi evento avvenuto nel passato;

4. l'influsso del sostrato dialettale del Nord, dapprima sull'italiano regionale e poi sullo standard.

Come uso ancora confinato nei limiti dei contesti diafasici più informali, e forse un giorno in fase di standardizzazione, è l'impiego del passato prossimo al posto del futuro anteriore in frasi come fra un mese ho fatto gli esami e sarò/sono a posto (cfr. BERRUTO, 2021: p. 80). 
La curiosità di verificare se davvero questo particolare utilizzo del passato prossimo si fosse insediato nelle prassi linguistiche dell'italiano medio, mi ha suggerito di procedere con una piccola inchiesta, interrogando i membri di due gruppi whatsapp, i quali si sono prestati all'esperienza semiludica, senza il timore di essere sottoposti ad un eventuale giudizio sulle loro competenze linguistiche. Ho chiesto infatti di completare un enunciato con il tempo e la persona, che avrebbero ritenuto opportuni, di un verbo da me suggerito tra parentesi tonde:

ANCORA UN ULTIMO SFORZO E ... (FINIRE)

Di dodici partecipanti, diversi per formazione culturale, genere e sensibilità, ben cinque (quasi il 50%) hanno optato per il futuro anteriore (3 avrò finito, avrai finito); quattro hanno invece completato l'enunciato con un futuro semplice (finiremo, finirete, sarà finita, finirò il lavoro); infine, i restanti tre hanno deciso di adottare il presente (2 finisco, finiamo).
Insomma, nessuna traccia di passato remoto in un contesto in cui la norma grammaticale avrebbe gradito il futuro anteriore.
Ovviamente, dobbiamo tenere in considerazione che il campione preso in considerazione è piuttosto esiguo, e che soltanto attraverso analisi dettagliate di corpora di italiano scritto e orale è possibile individuare un comportamento linguistico largamente condiviso.


BIBLIOGRAFIA

  • BERRUTO G. (2012), , Sociologia dell'italiano contemporaneo, nuova edizione, Roma, Carocci, in particolare la sezione Tempo, modo e aspetto del verbo, (prima ed. 1987, Università), pp. 79-83.
  • D'ACHILLE (2019)a, L'italiano contemporaneo, Bologna, Il Mulino.
  • IDEM (2019)b, Breve grammatica storica dell'italiano, Roma, Carocci.
  • DE SANTIS C./PRANDI M. (2020), Grammatica italiana essenziale e ragionata. Per insegnare e per imparare, Torino, Utet, pp. 169-177.
  • ROHLFS G. (1954), Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, vol. III, Sintassi e formazione delle parole, Bologna, Il Mulino. 
  • SABATINI F. (1988), La comunicazione e gli usi della lingua. Pratica, analisi e storia della lingua italiana, Torino, Loescher.
  • SERIANNI L. (1983), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, Utet, pp. 396-398.
  • TEKAVCIC P. (1980), Grammatica storica dell'italiano, vol. II, Morfosintassi, Bologna, Il Mulino.






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