"GLI" AL POSTO DI "LE"/"LORO": PACIFICA SOVRAESTENSIONE OPPURE ORRORE GRAMMATICALE?




Con questo scritto mi propongo di affrontare in prima persona una questione ricorrente negli studi di linguistica italiana; un comportamento linguistico che è stato evidenziato in particolar modo da quanti si sono occupati di inferenze diamesiche, di italiano dell'uso medio e di varietà popolari: la sovraestensione del clitico obliquo gli in riferimento ad un antecedente femminile o plurale. Alla luce delle informazioni raccolte, tratte dai principali contributi scientifici sull'italiano contemporaneo e da alcuni manuali scolastici di grammatica italiana, destinati ad apprendenti degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado, tenterò di capire definitivamente se si tratti di un'autentica sovraestensione di gli (utilizzato anche al femminile e al plurale), prodroma di una successiva e futura codificazione all'interno delle più autorevoli grammatiche descrittive dell'italiano, oppure se si tratta di un'anomalia definita tale dalla maggior parte dei membri della comunità dei parlanti.

La grammatica storica della lingua italiana di Pavao Tekavcic è uno dei migliori strumenti per l'individuazione della base etimologica dei pronomi clitici obbliqui gli, le, loro, utilizzati, come è universalmente noto, per marcare rispettivamente il genere maschile, il femminile e il numero plurale (TEKAVČIĆ, 1980: 188-189):

In Italia si conservano i dativi classici ILLI e ILLIS come pure l'analogico ILLE per il femm. sing. Da ILLI, sempre in posizione antevocalica (con la conseguente palatalizzazione della /ll/ in iato) si ottiene /l/ (*ILLI HABEBAM DICTUM > li aveva detto > gli aveva detto ecc.), dunque la forma è gli, e l'italiano popolare usa la stessa forma anche al plurale, come succedaneo del latino illis e con la medesima palatalizzazione. Dal dativo ILLE discende l'it. le. Al posto di gli per il plurale l'it. letterario adopera oggi loro, forma spiegata precedentemente.

La forma plurale loro, unico bisillabo tra i pronomi atoni, deriva dal genitivo plurale ILLORUM, erroneamente utilizzato dai parlanti delle province dell'impero romano per marcare l'oggetto indiretto, in tutti i contesti in cui ci si riferisce ad un antecedente plurale. Grazie all'adozione di loro da parte dei letterati e degli uomini di cultura, fu possibile discriminare la forma del singolare maschile gli (<ILLI) da quella omofona e omografa, che ha, invece, come base etimologica la forma del dativo plurale di ILLE, ILLIS.
E' pertanto singolare che secondo la codificazione madre di tutte le codificazioni, ovvero le Prose del Bembo, venga prescritto a coloro che avrebbero ricorso alla scrittura "l'uso di li e di gli per a lui e di le per a lei senza occuparsi della forma di terza persona plurale" (PATOTA, 2018: 321). L'uso di loro come clitico obliquo di sesta persona sarebbe pertanto un recupero tardivo dei grammatici attivi tra la fine del XIX secolo e i primi del XX, quando, insomma, la riflessione sulla lingua entra a far parte dei corredi didattici delle scuole di ogni ordine e grado.

Dal momento che, proprio in quanto se ne discute, non è raro che il pronome atono dativale maschile singolare gli prenda comodamente il posto riservato a ben due (non uno, bensì due!) diversi pronomi, le e loro, ritengo che, per una maggiore chiarezza espositiva, sia opportuno suddividere in due paragrafi la successiva parte di questo testo.

GLI A POSTO DI LE

Nella conversazione quotidiana, nei testi scritti da apprendenti delle scuole italiane di ogni ordine e grado, e tra le righe di un post, pubblicato da un libero cittadino su Facebook,  può capitare di assistere a questo fenomeno, dai più severi grammarnazi definito un'autentica caduta di stile. Un esempio valga per tutti:

Con questa immagine fotografica abbiamo immortalato una porzione di un saggio di italiano digitato, in cui l'autore ha, forse distrattamente, utilizzato gli in riferimento al precedente sostantivo mamma. Specifico che l'autore è un uomo di mia conoscenza, intelligentissimo, colto, con tre lauree; ergo, è un parlante che ha maturato nel corso del tempo delle buone competenze linguistiche e una discreta consapevolezza delle strutture fondamentali della lingua italiana. Però, come è noto a tutti, le regole grammaticali non sono leggi scese dall'alto dei Cieli, scritte sulla pietra con lettere di fuoco. La norma linguistica è semplicemente la codificazione di una comportamento linguistico, ricorrente nell'eloquio di un elevato numero di membri della comunità dei parlanti, da parte del linguista, che studia ogni fenomeno con criteri scientifici, rigorosi ed omogenei: uno specifico uso linguistico si misura, le occorrenze si quantificano, si confrontano, e, sulla base dei dati ottenuti, si pronuncia la relativa norma grammaticale (con buona pace di chi si illude che le lingue non siano naturali, ma costrutti sociali).

Sulla sovraestensione di gli su le si sono confrontati e continuano a confrontarsi i linguisti con pareri e punti di vista abbastanza uniformi. Più nel dettaglio, tutti premettono alla questione l'opportuna distinzione tra la dimensione dello scritto e quella del parlato: "Nella lingua scritta e nel parlare accurato è bene tuttavia mantenere la distinzione gli/le" (Cfr. DARDANO/TRIFONE, 1997: 241). Persino un'auctoritas linguistica come Luca Serianni, solitamente attento alle tare della variabilità, sulla questione è molto chiaro: "Se gli per loro non puo certo dirsi errore, decisamente da evitare anche nel parlato colloquiale è gli per le ("quando vedo tua madre, gli dico che fai fatto i capricci") che pure ha dei "precedenti illustri, dal Boccaccio al Machiavelli" al Carducci al Verga" (...)" (Cfr. SERIANNI, 1997). La condanna di gli per le, persino nel parlato colloquiale, è stata ribadita dal celebre linguista anche in altri suoi scritti, che hanno visto visto la luce più recentemente (IDEM, 2010), sebbene le attestazioni del fenomeno nei testi di alcuni celebri autori della nostra tradizione letteraria vengano ancora oggi citate dagli esperti per onestà intellettuale e completezza di informazione (LALA, 2021: 210):

(89) E gionto in casa, trovò la gentile giovene con molte de soe femine dintorno, e acconciamente salutatala, gli disse: "El mio maestro" (Masuccio Salernitano, Novellino, I).

(90) Né si accorse, con questa deliberazione, che faceva sé debole, togliendosi li amici e quelli che se li erano gittati in grembo, e la Chiesa grande, aggiungendo allo spirituale, che gli dà tanta autorità, tanto temporale (Machiavelli, Principe, III).

(91) Oso pregare la signora Sansoni a fare ciò che gli sia meglio possibile (Giosuè Carducci, Lettere, cit. in Migliorini, 2007, p. 633)

Insomma, quel medesimo fenomeno che negli anni Ottanta veniva ricondotto all'italiano dell'uso medio (SABATINI, 1985: 160) o presentato con un uso in fase di standardizzazione nell'italiano contemporaneo (BERRUTO, 1987: 76), a distanza di trent'anni viene ancora classificato come un'anomalia, assai lontana dall'evoluzione in norma, e la cui sopravvivenza è legata ai contesti diafasici più informali e dimessi (D'ACHILLE, 2019: 118): 

Come fenomeni specifici, nel parlato si tende a estendere la forma gli sia al femminile (ma nello scritto e anche nel parlato sorvegliato il le resiste ancora benissimo), sia soprattutto al plurale, dove del resto loro, bisillabo e posto quasi sempre dopo il verbo, interromperebbe il paradigma e determinerebbe un mutamento di focus (ti ho dato, gli ho dato ma ho dato loro e non ho loro dato, di uso molto raro)".

Anche spulciando la teoria di alcuni manuali di grammatica della lingua italiana, destinati ad apprendenti della scuola secondaria di secondo grado (per intenderci, licei ed istituti tecnici), la discussione intorno al suddetto fenomeno non varia nemmeno di poco. Ad esempio nel manuale compilato per i tipi della Giunti da Paola Barattier e Paola Italia, si legge in calce a pagina 166: "Il pronome atono di 3a persona singolare prevede le forme differenziate per genere maschile (gli) e femminile (le). Soprattutto nella lingua parlata, gli viene usato anche per il genere femminile e per il plurale. La sostituzione del pronome femminile può generare ambiguità e sarebbe quindi da evitare in ogni contesto: (...)". 

Allo stesso modo, anche le varie grammatiche di Marcello Sensini collocano l'utilizzo di gli al posto di le/loro all'interno di una nota evidenziata sugli errori da evitare:


Immagine fotografica da: SENSINI M. (2014), In Chiaro, Milano, Mondadori scuola, p. 233.

In considerazione di quanto sostengono in proposito coloro che scrivono grammatiche descrittive ad alto quoziente di scientificità, e delle norme suggerite dalla manualistica scolastica, attualmente utilizzate nelle secondarie, posso concludere che ricorrere a gli anche quando l'antecedente è un sostantivo o un nome proprio di genere femminile debba essere considerato un comportamento linguistico da evitare.

GLI AL POSTO DI LORO

Anche in questo caso, le conclusioni dei linguisti, lo possiamo affermare con tranquillità, sono sostanzialmente uniformi. Innanzitutto, in considerazione del fatto che la matrice etimologica dello gli che marca il plurale è diversa da quella del suo gemello con antecedente maschile singolare (in particolare, lo gli plurale sarebbe l'esito italo-romanzo di ILLIS, poi sostituito spontaneamente dai parlanti con la forma derivante da ILLORUM, per evitare ambiguità, data la somiglianza con gli esiti del maschile singolare ILLI, si veda TEKAVČIĆ, 1980), tutti gli esperti concordano nell'accogliere la sovraestensione di gli al posto di loro come accettabile e tutto sommato grammaticalmente corretta. Oltre alle sopraesposte motivazioni di carattere etimologico, che comunque non sono state molto prese in considerazione dalla tradizione grammatografica italiana, numerosi esempi, tratti da alcuni testi canonici della letteratura italiana,  consentono ai linguisti di accettare tranquillamente, persino nello scritto più formale, il ricorso a gli come rinvio ad un antecedente plurale (cfr. LALA, 2021: 209): 

(86) Essi vedendola si levarono in piè e con reverenza la ricevettero, e fattala seder tra loro gran festa fecero de' due belli suoi figlioletti. Ma poi che con loro in piacevoli ragionamenti entrata fu, essendosi alquanto partito messer Torello, essa piacevolmente donde fossero e donde andassero gli domandò; alla quale i gentili uomini così risposero (Boccaccio, Decameron, X, 9).

(87) gli uomini mutano volentieri Signore, credendo migliorare, e questa credenza gli fa pigliar l'arme contro a chi regge, di che s'ingannano, perché veggono poi per esperienza aver peggiorato (Machiavelli, Principe, III).

(88) Là non era altro che una, lasciatemi dire, accozzaglia di gente di varia d'età e di sesso, che stava a vedere. All'intimidazioni che gli venivan fatte, di sbandarsi e di dar luogo, rispondevano con un lungo e cupo mormorio; nessuno si muoveva (Manzoni, Promessi sposi, XIII)

A questi si esempi, è possibile aggiungere la comune vulgata secondo cui, relativamente a questo uso linguistico, i parlanti e gli scriventi di tutta Italiana avrebbero ampio margine di manovra, come se si trattasse di un caso di autentica intercambiabilità tra gli e loro (D'ACHILLE, 2019; DARDANO/TRIFONE, 1997; SERIANNI, 1983; Idem, 1997; Idem; 2010). Più monocorde nelle sue prescrizioni relative all'uso scritto è il suddetto testo della grammatica scolastica di Baratter/Italia, pubblicato a p. 166:

Per quanto riguarda invece la forma plurale, il pronome corretto è loro, unico per il maschile e per il femminile, che va in ogni caso posposto al verbo: (...). Il pronome loro è diverso dagli altri clitici: innanzitutto perché è bisillabo e quindi dotato di accento proprio (tanto che coincide con la forma tonica), ma che occupa la posizione post-verbale. Ciò spiega probabilmente perché venga spesso sostituito da gli, forma diffusa nella lingua parlata, ma non adatta alla lingua formale e alla lingua scritta.

Credo sia superfluo ribadire la posizione al riguardo dei cultori della linguistica italiana che hanno contribuito alla compilazione delle diverse edizioni delle grammatiche del Sensini (vedi sopra).

In conclusione, se usare gli maschile singolare al posto di le femminile è sempre un errore da emendare, ragioni etimologiche e il benestare dei più avveduti esperti di lingua italiana incoraggiano a pronosticare una futura grammaticalizzazione dell'utilizzo di gli come pronome atono obliquo di sesta persona.

Riferimenti bibliografici

  • D'ACHILLE P. (2019), L'italiano contemporaneo, Bologna, Il Mulino.
  • PATOTA G. (2018), Il fantasma delle "Prose". L'eredità di Pietro Bembo nella grammatografia scolastica italiana, in Massimo Prada e Giuseppe Polimeni, a cura di, Lessici e grammatiche nella didattica dell'italiano tra Ottocento e Novecento, Quaderni di Italiano LinguaDue, Milano, Università degli Studi di Milano;
  • SERIANNI (1997), Italiano. Grammatica, sintassi, dubbi, collana Le garzantine, Milano, Garzanti;
  • SERIANNI (2010), L'ora di italiano, Bari-Roma, Laterza;
  • TEKAVČIĆ (1980), Grammatica storica dell'italiano, vol. II, Morfosintassi, Bologna, Il Mulino.

Grammatiche scolastiche

  • BARATTER P./ITALIA P. (2022), La bella lingua. Grammatica della lingua italiana, Brescia, Editrice La Scuola;
  • SENSINI M. (2014), In Chiaro, Milano, Mondadori Scuola;
  • Idem (2018), Con metodo, Milano, Mondadori Education.

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