LA GRAMMATICA VALENZIALE

 


Più di mezzo secolo fa, Lucien Tesnière (non chiedetemi mai di pronunciare questo cognome) riuscì ad applicare il principio scientifico della "valenza" all'analisi e alla descrizione delle strutture frasali di diversi idiomi, liberandosi dell'immagine lineare della frase e sostituendola con quella di un nucleo di significato fondamentale all'interno di un determinato sistema linguistico. Non più quindi una grammatica che polverizza l'eloquio in tante piccole unità da osservare attentamente al microscopio, ma un approccio che parte dagli elementi più evidenti per giungere progressivamente all'attenzione ai particolari.
L'accademico Francesco Sabatini è stato il primo convinto promotore di questo approccio metodologico:



Per chi oggi insegna lingua italiana è impossibile non imbattersi, nel corso della propria formazione professionale permanente, in questo modello di analisi grammaticale, che eccezionalmente convince così tanto studiosi e linguisti da essere annoverato come il "miglior candidato ad un'assunzione generalizzata nell'insegnamento" (LO DUCA, 2003: p. 160).

In Italia, le condizioni per la diffusione del modello valenziale presso la comunità scientifica si sono concretizzate con l'affermazione nel 1975 dell'educazione linguistica democratica, attraverso la redazione e la pubblicazione delle Dieci tesi per l'educazione linguistica democratica. In particolare, dal testo della VII tesi, ricaviamo la seguente affermazione (punto D): La pedagogia linguistica tradizionale si è largamente fondata sulla fiducia nell’utilità di insegnare analisi grammaticale e logica, paradigmi grammaticali e regole sintattiche. La riflessione scolastica tradizionale sui fatti linguistici si riduce a questi quattro punti (Si veda anche, DE MAURO, 2018: 273). La grammatica insegnata solitamente nelle nostre scuole molto spesso non offre strumenti di analisi adeguati e sufficienti a descrivere la lingua italiana nella sua particolare complessità, e spesso gli stessi responsabili dell'educazione linguistica riconducono all'adozione ininterrotta di questo datato modello descrittivo la scarsa conoscenza che gli studenti medi italiani hanno delle strutture fondamentali della loro lingua nazionale (si veda BERETTA, 1978: 12, in cui la grammatica tradizionale viene presentata come un insegnamento nozionistico che procede dalle unità più piccole alle unità più ampie).

Purtroppo, però, la mancata generalizzazione di un solo modello alternativo di descrizione grammaticale, che fosse ampiamente condiviso e ritenuto valido da quasi tutti gli interlocutori culturali del mondo della scuola, ha frenato lo svecchiamento dell'abituale insegnamento linguistico in un contesto, come quello scolastico, già refrattario in sé all'innovazione. A questo si aggiunge l'eterogeneità della formazione dei docenti di lettere, non sempre equipaggiati dell'armamentario teorico linguistico e, pertanto, naturalmente predisposti a seguire la rassicurante tradizione. 

MA QUALI SONO LE CARATTERISTICHE DISTINTIVE DELLA GRAMMATICA VALENZIALE? 

Innanzitutto, prima di chiarire il significato del concetto di "valenza" e scoprire come è stato pensato nella metafora che rende intelligibile il modello di Tesnière, occorre premettere che in questo modello grammaticale la frase è l'unità fondamentale del discorso e, pertanto, la sintassi assume un ruolo conoscitivo propedeutico.
Il sostantivo "valenza" è mediato dalla chimica ed individua (se qualche chimico sta eventualmente leggendo questo testo, non esiti a segnalare imprecisioni e parolacce) la capacità degli atomi di un qualsiasi elemento chimico di creare legami con la struttura atomica di un altro elemento chimico. Esattamente come la valenza consente il legame chimico tra sodio e carbonio, allo stesso modo la valenza di un verbo, vero atomo della frase-molecola, consente alla medesima forma verbale di legarsi con gli altri elementi costitutivi della frase stessa (DE SANTIS, 2016; EADEM, 2021; SETTI, 2019). 
Ogni verbo ha la sua particolare valenza, che lo contraddistingue e lo differenza dagli altri. In particolare, adottando questo particolare potere di collegamento con altri costituenti frasali come criterio di classificazione delle forme verbali, Lucien Tesnière individuò quattro tipologie di verbi: zerovalenti, monovalenti, bivalenti, trivalenti e tetravalenti. 

1) verbi zero valenti: verbi assolutamente impersonali che non legano sintatticamente con altre parti del discorso, ad es. verbi indicanti fenomeni atmosferici, nevicare, piovere, tuonare;

2) verbi monovalenti: verbi utilizzati in forma assoluta, senza nemmeno il complemento diretto, ad es. dormire, viaggiare, giocare;

3) verbi bivalenti: forme verbali espresse da un soggetto, che non possono non avere il completamento con un oggetto diretto, ad es. chiamare, dire, fare;

4) verbi trivalenti: forme verbali che saturano la loro valenza soltanto con l'ingresso nel microcosmo della frase di un oggetto preposizionale, o complemento indiretto introdotto dalla preposizione a (e le relative varianti articolate al, alla, alle etc.), come ad es.dare, regalare (non posso pronunciare la frase Ho regalato un buono Amazon, monca dell'oggetto indiretto, senza che qualcuno mi chieda inevitabilmente "A chi?"; ciò dimostra che il verbo regalare senza il costituente preposizionale non satura la sua valenza!).

5) verbi tetravalenti: sono quei verbi indicanti spostamenti, trasferimenti di oggetti o persone che necessitano di esplicitare provenienza e destinazione, oltre all'oggetto trasferito, ad es. trasferire (Ho trasferito diecimila euro dal mio conto corrente a quello dell'azienda di tuo zio).

Spero di aver chiarito, con i suddetti esempi, l'importanza del verbo, la sua centralità, all'interno del modello grammaticale valenziale, ma soprattutto in che cosa consista la valenza e come essa si espliciti mediante altre parti del discorso, che, come elettroni di un atomo, si saldano sulle orbite di uno specifico nucleo. Fin qui emerge che la prima più evidente differenza con la grammatica tradizionale è l'assenza della lunga, e spesso superflua, tassonomia dei complementi, la cui esatta identità è spesso arduo individuare (io ancora devo capire che senso ha differenziare il complemento d'agente da quello di causa efficiente). L'analisi logica, nella teoria di Tesnière, è decisamente istantanea e non può in alcun modo prescindere dal verbo, vero nucleo della frase (se non c'è un verbo di modo finito, accompagnato da parti del discorso che competano la sua valenza, non abbiamo una frase di senso compiuto). Quest'ultimo fattore accomuna il modello valenziale al principio che animava (e che anima ancora) la cosiddetta analisi del periodo: ad ogni verbo corrisponde una proposizione. E, sempre sulla base di questo postulato preliminare, occorre che gli apprendenti la lingua italiana come L1 imparino subito la differenza sostanziale tra frase ed enunciato. Le espressioni senza verbo che assumono un significato universalmente intelligibile soltanto all'interno di specifici contesti diafasici sono, infatti, i cosidetti enunciati: un cartello che riproduce la scritta SILENZIO, PER FAVORE, all'interno di una sala lettura invita i presenti a non discutere dei fatti loro all'interno di quella stanza, nemmeno a voce sostenuta; questo messaggio chiaro, adeguato ed efficace, viene mediato senza il ricorso ad alcuna forma verbale. 

GLI ARGOMENTI (O ATTANTI)

Per tornare alla valenza verbale, occorre concentrarci ora sugli altri costituenti della frase, sulle parole e i costrutti che occupano gli spazi lasciati liberi sulle orbite dell'atomo frasale. Essi si chiamano argomenti, ma possono essere chiamati anche attanti (come potete notare osservando bene l'immagine in cui io maneggio con disinvolto compiacimento una struttura grammaticale valenziale), in quanto essi intervengono come attori sulla scena della frase, recitando su un canovaccio contenuto nel valore semantico del verbo: ad esempio, nella frase Conosco lo scopo della vostra visita, l'attante-soggetto (io sottinteso) sperimenta la conoscenza di un evento (il soggetto è quindi un attante esperiente). Gli argomenti di una frase possono essere al massimo di tre tipologie. Essi sono:

  • il soggetto, che, a sua volta, può essere agente (Fridah ha graffiato il divano), paziente (nelle frasi con un verbo alla diatesi passiva, ad es. Euphoria è stata inseguita da un cane), esperiente (Esaù ama alla follia Euphoria);
  • l'oggetto diretto;
  • l'oggetto indiretto (o oggetto preposizionale).

Ognuno di questi argomenti può avere un'espansione che completa il significato di un verbo, come ad esempio un'apposizione del soggetto o un suo complemento di specificazione (mi raccomando: nella grammatica valenziale, guai a parlare di complemento! Semmai di generico complementatore dell'argomento): Fridah ha graffiato il divano - la gatta di Dino ha graffiato il divano. 

LA CLASSIFICAZIONE  DEGLI ARGOMENTI

Ma qual'è la facies di un argomento? Come si palesano all'occhio del lettore o all'orecchio dell'ascoltatore? Un membro della comunità dei parlanti ha a sua disposizione diverse combinazioni:

1) Un nome proprio, un pronome, un aggettivo esornativo sostantivato, un sostantivo generico o indicante un animale, un concetto astratto, un oggetto inanimato e via discorrendo, es. Tourn e Bodei, che erano andati alle cucine, ci dissero di aver sentito dai conducenti che eravamo accerchiati da diversi giorni (Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve. Ritorno sul Don, ed. Einaudi 2019, p. 20); Un altro ha il viso giallo; l'ufficiale gli strappa via le coperte, quello trasalisce, l'ufficiale gli strappa il ventre, dice: - Gut, gut, - poi passa oltre (Primo Levi, Se questo è un uomo, ed. Einaudi, p. 47);

2) Un sintagma, ed esistono sintagmi nominali, verbali, avverbiali e preposizionali, es. Quel dolce di Calliope labbro (Foscolo, Dei Sepolcri) - in viola il sintagma nominale, tagliato in due dal sintagma preposizionale in arancione; in questo passo del poemetto foscoliano è stato realizzato un iperbato;

3) una proposizione subordinata introdotta da che, se, quanto, come, chi, perché etc., ad es. E', ovviamente, appiedato ma Margherita Sarfatti, mischiata alla folla, ha l'impressione che il Duce del fascismo sia a cavallo, come una statua equestre (Antonio Scurati, M. Il figlio del secolo, Garzanti, Milano 2019, p. 374)

4) un'infinito, anche accompagnato da una preposizione semplice, es. L'arcivescovo Turpino, spaventato da questa macabra passione, sospettò un incantesimo e volle esaminare il cadavere (Italo Calvino, Lezioni americane, ed.  Einaudi 1993, p. 35)

Un'altra differenza tra la grammatica valenziale e quella tradizionale è che nella prima non esiste la distinzione tra analisi logica e analisi del periodo, quando si affronta l'esame della sintassi di una porzione di testo. Il nucleo verbale della proposizione principale è l'unico vero elemento unificatore, mentre le proposizioni secondarie sono delle espansioni della reggente, che danno informazioni complementari sul luogo, il tempo, la causa, lo scopo ed il contesto in cui sono avvenuti gli eventi e le azioni in essa descritti.

Precisiamo inoltre che i predicati nominali, i verbi copulativi e i transitivi alla diatesi passiva sono trattati alla stregua di forme verbali monovalenti.

I verbi servili (potere, dovere, volere) che accompagnano un infinito, i costrutti fraseologici e le polirematiche verbali sono considerati delle forme verbali uniche, non scomponibili.

Dopo aver riferito quanto è stato dal sottoscritto appreso in poco tempo sulla grammatica valenziale, credo possa essere interessante analizzare utilizzare le suddette nozioni per analizzare la struttura sintattica di una porzione di testo scritto, tratto dal romanzo di Laura Mancinelli, Il principe scalzo, Einaudi, Torino  2015, p. 54:

Mentre il vecchio cedeva al sonno, uno dei due servi ogni notte andava ad aprire la porticina ai piedi della stretta scala e faceva cenno a Enrico di entrare.

  • Mentre il vecchio cedeva al sonno - espansione temporale, secondaria introdotta da mentre.
  • uno dei due servi - soggetto, sintagma nominale
  • ogni notte - complementatore temporale, sintagma nominale
  • andava ad aprire - I nucleo verbale, costrutto fraseologico
  • la porticina - argomento oggetto diretto, sintagma verbale
  • ai piedi della stretta scala - complementatore spaziale, sintagma preposizionale
  • e faceva cenno - II nucleo verbale, forma verbale polirematica
  • a Enrico - argomento oggetto preposizionale (o indiretto), sintagma preposizionale
  • di entrare - argomento oggetto diretto

In conclusione, posso tracciare un bilancio dei pro e dei contro di questo approccio conoscitivo ed esprimere le mie personali valutazioni: si tratta di un modello grammaticale i cui meccanismi sono facili da comprendere; si adegua facilmente alla descrizione della sintassi dei testi redatti in diverse lingue, anche se non credo abbiamo il requisito dell'universalità; rispetto alla grammatica tradizionale della lingua italiana permette di demolire le classificazioni più o meno complesse che la caratterizzano e la rendono spesso ostica e appesantita. Di contro, occorre tenere in considerazione che il modello valenziale è ancora poco conosciuto, che la dimensione rassicurante della tradizione inibisce l'apertura all'innovazione (molte grammatiche scolastiche, attualmente circolanti, presentano una mescolanza degli approcci come massimo quoziente di trasgressione) e che intere generazioni di insegnanti sono state cresciute a pane e analisi grammaticale

Riferimenti bibliografici

  • DE MAURO T. (2018), L'educazione linguistica democratica, Roma-Bari, Laterza.
  • DE SANTIS (2016), Che cos'è la grammatica valenziale, Roma, Carocci.
  • EADEM (2021), La sintassi della frase semplice, Bologna, Il Mulino.
  • LO DUCA M.G. (2003),  Lingua italiana ed educazione linguistica, Roma, Carocci.
  • SETTI R. (2019), La scoperta della lingua italiana. Linguistica per insegnare nella scuola dell'infanzia e primaria, Franco Cesati editore.


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