L'ITALIANO SCOLASTICO

Immagine fotografica: fotogramma dalla pellicola cinematografica Il maestro di Vigevano (1963) diretto da Elio Petri.

Per il suo carattere minoritario la scuola media si è posta a lungo in attitudine di difesa nei confronti dell'ambiente: diversamente dalla scuola elementare, in essa, per quando è possibile giudicare, si è riusciti a evitare l'uso normale del dialetto già dai primi anni dell'unità, anche se qua e là, nelle zone di provincia in cui la scuola non ha potuto usufruire dei vantaggi dell'urbanizzazione, possono segnalarsi regionalismi nell'uso linguistico degli allievi. Date le condizioni inizialmente comuni a tutte le regioni italiane, vincere la battaglia contro l'uso esclusivo del dialetto parve possibile soltanto ad un prezzo: quello di imporre agli allievi di rifuggire sistematicamente da ogni elemento lessicale e da ogni modulo sintattico usato nel linguaggio parlato, sia in quello orientato verso il dialetto sia, dal momento in cui presero a formarsi varietà regionali, in quello orientato verso queste. L'antiparlato, o meglio, il parlare "come un libro stampato", è stato così l'ideale linguistico più diffuso nella scuola media. Gli esempi e le conseguenze del conformarsi a questo ideale sono innumerevoli. Basterà ricordare la battaglia ingaggiata da grammatiche e insegnanti contro il gerundio (che è sì largamente usato dagli scrittori aulici, ma è altresì il tipo di subordinazione più vitale nella lingua parlata e nei dialetti centro-meridionali), o contro il che relativo e a favore di il/la quale, o a favore di affinché. Persino a Firenze l'ipercorrettismo scolastico ha trionfato almeno in certe scuole, come provano per epoche diverse le polemiche del Pistelli e quelle più recenti del Bianchi; la faccia della Madonna è corretto in volto, si arrabbia in si inquieta, si porta in si conduce, passare le vacanze in trascorrere le vacanze, fare le lezioni in eseguire i compiti; a Roma, vi era una grande torta è sostituito da la torta troneggiava; un periodo come L'altr'anno io ho compiuto dodici anni e abbiamo fatto una festa in famiglia: è venuto mio zio viene stravolto correggendolo in:... in famiglia con l'intervento di mio zio; portare i regali è sostituito da donare, la televisione dei ragazzi è corretto in lo spettacolo televisivo destinato ai ragazzi. (Cfr. DE MAURO, 1963: 103-104).

DEFINIZIONE DI ITALIANO SCOLASTICO

L'italiano nazionale, si sa, come viene quasi universalmente riconosciuto, è la lingua che gli abitanti della Penisola imparano sui banchi di scuola, attraverso un percorso di istruzione formale. Sebbene oggi, AD 2023, persino gli studenti che in Italia frequentano istituti di istruzione di ogni ordine e grado si illudono che il loro idioma nativo sia la varietà linguistica descritta dai manuali di grammatica attualmente in adozione. La cosiddetta L1 degli scolari è in realtà costituita dal dialetto locale, o più precisamente dall'italiano regionale, dal momento che la dialettofonia ha perso terreno, nel corso del tempo, all'interno dell'archivio delle possibilità espressive del parlante medio. Ma gli storici della lingua italiana e i linguisti, che per diversi motivi si sono interessati di educazione linguistica e dei processi di acquisizione della lingua nazionale, hanno inevitabilmente notato che, soprattutto in un recente passato, le produzioni scritte di apprendenti più o meno giovani sono spesso contraddistinte da artificiosità, stilizzazione, in parole povere dalla pedanteria che è il contrario della spontaneità creatrice del parlante; del resto, quando si parla di italiano delle scritture scolastiche, si tratta di testi soggetti, dopo la loro produzione, al vaglio correttorio dei docenti responsabili della formazione linguistica degli autori. Le scelte, che vengono quindi selezionate "spontaneamente" dall'apprendente alle prese con la pagina bianca del quaderno o del foglio protocollo, sono inevitabilmente influenzate dalle aspettative degli insegnanti. Quest'ultimi, a loro volta, per organizzare le prassi di correzione, ricorrono all'esperienza personale, alla propria preparazione linguistica, a competenze maturate nel tempo e con lo studio; ma chiunque sia chiamato ad individuare errori ed anomalie all'interno di un testo da emendare non potrà in alcun modo prescindere dall'insieme delle norme linguistiche a cui ricorre la maggior parte dei membri della comunità dei parlanti, in un determinato momento dell'evoluzione diacronica di una specifica lingua. Sulla base quest'ultima asserzione, potrebbe essere un'ottima idea ricorrere all'analisi delle scritture scolastiche, e delle correzioni che sono ivi apposte, non solo al fine di confezionare un'istantanea della norma linguistica (ciò che può essere accettato tranquillamente dai parlanti sia in forma scritta che in forma orale, e quello che è destinato invece a essere bollato come ignoranza o scarsa preparazione), ma anche per prevedere la prossima evoluzione della medesima. 
La norma grammaticale, infatti, si evolve, muta nel tempo; e in ogni momento della sua evoluzione diacronica presenta aspetti che vengono accettati coralmente dai parlanti o che vengono completamente bollati come errori imperdonabili. Come sostiene il compianto linguistica Luca Serianni, la norma grammaticale è come il comune senso del pudore: la soglia di attenzione e di tolleranza nei confronti di alcune manifestazione del costume si alza e si abbassa a seconda della fase storica che si sta attraversando in un determinato momento - Dovendo sintetizzare quanto detto finora, potremmo dire questo: la norma alla fine corrisponde a ciò che viene percepito come giusto in un determinato momento storico e sociale. Non a caso, Luca Serianni la paragona al comune senso del Pudore, che muta al variare di molti fattori, non ultimo quello economico (Lo sapevate che gli orli delle gonne tendono ad allungarsi in tempi di austerity?). Cfr. GHENO, 2019: 36-37". 
Da questo punto di vista la scrittura scolastica presenta un notevole quoziente di attendibilità nella definizione di un mutamento linguistico in atto: la scuola è un luogo di conservazione linguistica, dove le sperimentazioni e i tentativi di innovazione sono frenati dall'esigenza didattica di consolidare la conoscenza della grammatica tradizionale e le competenze di lettura e scrittura; se un tratto non viene contemplato come non consuetudinario all'interno dei manuali di educazione linguistica, compare frequentemente e senza alcun intervento sanzionatorio da parte del docente, molto probabilmente esso è in fase di standardizzazione oppure è già entrato a fare parte stabilmente dell'uso. La spinta alla conservazione e al rispetto ad oltranza di statiche regole grammaticali è, paradossalmente, la cartina di tornasole delle innovazioni in atto.

CHI LO HA STUDIATO? 

L'italiano delle scritture scolastiche ha ancora oggi delle caratteristiche che lo rendono esclusivo: innanzitutto, i testi prodotti dagli studenti non sono in quadrabili in nessuna categoria testuale, ampiamente riconosciuta. Anche quando l'insegnante chiede espressamente di scrivere una missiva o un pagina del proprio diario privato, la richiesta soggiacente ad ogni traccia è sempre la persistente adesione cavillosa alla norma grammaticale, descritta a chiare lettere nei manuali adottati. Lo studente, perciò, affronta la composizione dei suoi scritti con la consapevolezza che tutte le parole, tutte le frasi, qualsiasi espressione verbale metterà nero su bianco, verranno setacciate dall'insegnante che, a sua volta, ne valuterà il livello di conformità alla norma grammaticale. E' un italiano in cui le scelte linguistiche sono condizionate, destinato ad una più o meno attenta revisione formale: poca spontaneità, tanta pedanteria, costante richiamo al rigore. E proprio di spontaneità e pedanteria ha parlato Enrico Bianchi, in un sintetico trafiletto, stampato nel 1943 su due colonne dell'appendice del terzo fascicolo della terza annata della rivista specialistica "Lingua nostra", fondata dai Dioscuri della linguistica italiana, Giacomo Devoto e Bruno Migliorini (Cfr. BIANCHI, 1941). Impossibile, ancora oggi, non essere d'accordo con l'autore, soprattutto in quei passaggi del suo testo in cui stigmatizza su alcuni curiosi interventi correttori, apportati da maestrine un po' troppo zelanti sulle composizioni dei loro scolari.
Il discorso intorno alla diffusione dello standard, alla funzione della scuola, decisiva per i processi di acquisizione della lingua nazionale da parte delle nuove generazioni, si complica nel periodo dell'esplosione della società di massa, quando l'istruzione non è più appannaggio di una limitata cerchia di cittadini, ma è un territorio che anche i figli dei contadini e degli operai possono percorrere. 
La scuola è il luogo ideale per la prosecuzione della questione della lingua: nella seconda metà del XIX abbiamo individuato l'italiano comune, lo abbiamo codificato in regole e regolette; ora occorre che diventi patrimonio di parlanti originariamente dialettofoni. Lo scopo è italianizzare linguisticamente le future generazioni; il dialetto è il male assoluto, la lingua cattiva a cui si contrappone l'idioma gentile, la buona lingua, scevra di qualsiasi tipo di variabile. Il livello di acquisizione di questa purissima lingua patria si misura attraverso lo scritto; d'altronde l'italiano è una lingua figlia della scrittura dei poeti e dei prosatori della nostra tradizione letteraria. Il parlato, l'oralità, insozzati dal morbo del dialetto, devono, quindi, restare fuori dai processi di educazione linguistica. L'italiano, la buona lingua, non può e non deve per nessun motivo al mondo essere contaminata da inferenze diamesiche, diastratiche e diatopiche, con buona pace dei più attivi sostenitori dell'approccio didattico denominato volgarmente Dal dialetto alla lingua (nota: non solo Ascoli e Radice, ma anche la generazione dei maestri anni Sessanta). Questo è ciò che emerge da un gruppo di studiosi padovani, capeggiati da Paola Benincà, che nel 1972 hanno condotto una ricerca empirica su un corpus di scritture scolastiche, reperite in istituti di istruzione formale in cui si formavano studenti e studentesse, provenienti da aree rurali. Oltre a scoprire che il dialetto influisce sempre nell'acquisizione dello standard, i linguisti patavini si resero conto che molto spesso le correzioni degli insegnanti erano immotivate e che seguivano una grammatica fraintesa, fantasiosa, del tutto immaginaria - Ci troviamo dunque a constatare, di fronte all'esemplificazione che abbiamo riportata, che la norma linguistica è posseduta dagli insegnanti in modo estremamente malsicuro e incerto, e uno dei motivi è certamente che la norma non esiste in forma unitaria come abbiamo detto sopra, e che la vecchia norma puristica è stata messa da tempo in crisi. In questo modo risulta molto più scoperto l'obiettivo primo di queste correzioni e dell'insegnamento dell'italiano in genere, che non può coprirsi dietro una norma da proporre e da difendere, ma apertamente ormai mira a colpire e respingere tutto quello che linguisticamente tradisce la diversità della cultura sottostante (Cfr. BENINCA' et alii, 1972: 37-38); Quello che era un tempo riconosciuto come norma "superiore", si è ridotto oggi ad una specie di tradizione scolastica, che spinge gli insegnanti ad adottare nei confronti dell'espressione linguistica degli alunni atteggiamenti pedanteschi e repressivi, mediante i quali si impedisce che gli alunni stessi sviluppino le loro potenzialità espressive e s'impadroniscano d'altra parte dei mezzi di produzione linguistica per far venire alla luce la loro cultura" (Cfr. Ibidem: 38).
L'articolo si propone in un certo senso di dimostrare l'inadeguatezza della preparazione dei responsabili dell'educazione linguistica delle nuove generazioni. Sembra quasi che gli autori si siano divertiti a fare le bucce al lavoro correttorio dei docenti, coinvolti come informatori nello studio. Ma ciò che è più interessante è che, in questo specifico contesto, si parla per la prima volta di un italiano scolastico, o di italiano togato, possibile solo all'interno dei temi, di sicuro non congruente con lo standard. 

IL TEMA

Nel suo saggio sui componimenti scritti scolastici, Luca Serianni e Giuseppe Benedetti ci presentano l'esperienza come apprendente dello scrittore Augusto Monti, alle prese con l'apprendimento della storia della letteratura italiana e la redazione di testi: 

Per l'italiano scritto finché rimasi alle elementari fui un cannoncino: dettati, componimento di imitazione, cioè udito legger dal maestro un racconto rifarlo per scritto a memoria, traduzione di poesia in prosa, grandi esercizi di nomenclatura, grandi lezioni a memoria...facevo raccolta di '10', e imparavo a scrivere, grazie appunto a quella elementare-laborario di Aristide Gabelli. Ma sulla porta del ginnasio ecco sbarrarmi il passo, maledetti! il 'il componimento'. Tema per l'ammissione 'Uno spettacolo di saltimbanchi: sentimenti che ha suscitato in voi': ed io non avevo mai assistito ad un 'spettacolo di saltimbanchi'! Rimandato. Disastro! (il testo citato è MONTI, 1965: 17, da SERIANNI/BENEDETTI, 2015: 13-14)

Anche per un uomo di lettere come Augusto Monti la composizione del famigerato "tema" fu più una croce che una delizia. D'altronde chiunque, nel corso della propria carriera scolastica, è stato sottoposto, anche più di una volta, a questa forma di allenamento alla scrittura, spesso confrontandosi con le più esose aspettative del proprio docente di lettere.
Il tema (la composizione, l'elaborato scolastico, chiamatelo come volete!) trae la sua origine dalla pratica dell'amplificatio, un esercizio retorico in voga presso le scuole dei Gesuiti: all'attenzione dell'educando veniva sottoposta una traccia, consistente  quasi sempre in una frase (un motto o un aforisma), partendo dalla quale il medesimo alunno avrebbe dovuto costruire un testo di una certa estensione, dando dimostrazione, in questo modo, delle proprie capacità argomentative. Questa forma di allenamento alla scrittura si diffuse in Italia anche presso le scuole elementari e medie del periodo postunitario e la sua prassi è tutt'altro che superata ancora oggi nel 2023 con tracce singolari e leggermente bizzarre. Nel corso di antiche e più recenti discussioni sull'educazione linguistica, animate dai linguisti e dalle lavoratrici e dai lavoratori della scuola,  il tema è stato molto spesso oggetto di aspra critica: 

Il generale impianto dei programmi di insegnamento dell'italiano, basati sulla pratica dei temi, più volte condannata dai pedagogisti sin dai primi decenni dell'unità, pratica che, come è stato più volte osservato, impone di diluire in tre o quattro pagine quello che uno scrittore classico ha detto in una o due frasi, ha favorito inoltre la verbosità, cioè l'adozione, da parte degli allievi e dei docenti, di formule stereotipate e cristallizzate (DE MAURO, 1964: 104)

Il tema come arte dell'allungare il brodo e la pedanteria dei maestri e delle maestre, che quando apportano le loro correzioni sugli elaborati dei loro alunni sono più realisti del re, possono essere considerati i genitori biologici dell'italiano scritto, dell'italiano togato, dell'anti-italiano, del parlare e scrivere come un libro stampato (tanto per elencare le numerose definizioni che sono state attribuite a questo particolare idioletto, spesso non senza una punta di polemica).

I TRATTI PECULIARI DELL'IDIOLETTO SCRITTO DELLA SCUOLA ITALIANA

Le maglie del filtro correttorio, utilizzato dai docenti e dalle docenti di lettere per emendare gli scritti dei loro rispettivi alunni, sono state spesso così fitte nel corso dell'evoluzione diacronica dell'italiano scolastico, che Massimo Moneglia nel 1982 ebbe l'idea di utilizzare le scritture, contenute in un copus di 60 quaderni, reperiti relativi alla provincia di Firenze e ad un arco cronologico compreso tra la fine degli anni Trenta e l'incipit degli anni Ottanta, come cartina di tornasole per l'individuazione di innovazioni linguistiche in fase di standardizzazione (MONEGLIA). Anche se l'esperimento di Moneglia fu singolare e nessun altro ne seguì l'esempio, il suo contributo ebbe il merito di aver individuato un punto dell'evoluzione diacronica dell'italiano scolastico in cui le maglie del professorale setaccio correttorio si sono progressivamente allargate, consentendo, dalla fine degli anni Settanta, a forme linguistiche, tipiche dell'oralità e della conservazione quotidiana, di penetrare indisturbate all'interno delle scritture degli scolari, contribuendo a mutare la facies dell'italiano scolastico. Le conclusioni di Moneglia furono poi, circa dieci anni dopo, riprese da Michele Cortelazzo (ancora oggi riconosciuto come l'esperto delle lingue speciali), il quale, in un suo breve saggio ripubblicato all'interno di un volume edito nel 2000, stabilì la data di nascita e quella di morte dell'italiano delle maestre e stilò un elenco delle sue caratteristiche perculiari (CORTELLAZZO, 2000):
predilezione per il passato remoto nella scelta dei tempi storici;
  1. uso del relativo il quale, preferito all'indeclinabile che,
  2. anteposizione dell'aggettivo esornativo;
  3. selezione dei sinonimi formalmente sostenuti (adirarsi oppure inquietarsi al posto di arrabbiarsi, recarsi al posto di andare, volto al posto di faccia etc.);
  4. espunzione del clitico ci attualizzante e locativo;
  5. allergia alle forme nominali e verbali eccessivamente generiche e iperonimiche, come ad esempio i sostantivi cosa, persona e il verbo fare;
  6. uso di egli come esclusivo pronome anaforico di terza persona singolare;
  7. eliminazione immediata di regionalismi, dialettismi e colloquialismi;
  8. un tratto davvero esilarante: i nomi di parentela come mamma e papà dovevano essere preceduti dall'articolo determinativo (la mamma) o dalla successione determinativo + possessivo (la mia mamma);
  9. feticismo per quelle espressioni che complicano inutilmente ciò che è già corretto nella sua semplicità: piuttosto che le foglie rosse meglio le foglie di color rosso,
  10. il discorso indiretto viene preferito a quello diretto.
Questo sistema linguistico sopravvive immacolato, a dispetto della naturale evoluzione diacronica della lingua italiana, dalla fine degli anni Trenta fino alla fine all'incipit dei Settanta: intere generazioni di apprendenti nativi sono state obbligate ad adottare scelte linguistiche che mai avrebbero adottato, anche per la redazione di un messaggio epistolare destinato all'amico di penna o per la stesura di una pagina del diario privato
La cronologia e lo sviluppo dell'italiano scolastico sono state confermate da studi successivi, come il volume che ha condensato uno straordinario lavoro di squadra, coordinato dalla professoressa Luisa Revelli dell?università della Valle d'Aosta, promotrice tra l'altro del Corpus Digitale delle Scritture Scolastiche, d'ora in poi CoDiSS (cfr. REVELLI, 2013, ma anche CISTERNINO, 2020).

EVOLUZIONE DIACRONICA E SUPERAMENTO DELLA LINGUA SPECIALE

Cosa ha cagionato la fine dell'italiano scolastico? Da quando non è più possibile parlare di lingua speciale? Con molta probabilità sono stati decisivi l'avvento  dell'educazione linguistica democratica, con la creazione del GISCEL, la scuola di Barbiana di Don Milani, la didattica innovativa di maestri pionieri come Mario Lodi e Bruno Ciari, ma anche il progressivo reclutamento di una nuova generazione di maestri, forse dotati di una preparazione linguistica più strutturata, intellettualmente consapevoli dei limiti e degli eccessi di alcuni interventi didattici, di cui loro stessi sono stati destinatari diretti. Inoltre, credo che oggi sia davvero molto difficile incontrare apprendenti, la cui dialettofonia sia così assoluta e dominante.
Alcuni recenti contributi hanno registrato la sopravvivenza di alcune sparute molecole del vecchio e defunto italiano scolastico, come la mancata concessione agli apprendenti, da parte del docente di italiano, di principiare un periodo con una congiunzione copulativa, oppure la sostituzione del pronome soggetto lui con egli, unico vero anaforico di terza persona singolare (cfr. CAGNAZZI, 2005; COLOMBO, 2011; SERIANNI/BENEDETTI, 2015). Si tratta comunque di studi conclusi prima del 2010, a mio parere una data fatidica per la storia dell'educazione linguistica democratica, ovvero la data della promulgazione della legge 170 del 28 febbraio, che inquadrava a livello legislativo i disturbi specifici di apprendimento come patologie croniche, suscettibili di depotenziare le competenze di lettura e scrittura di chi ne è partecipe. Come era possibile prevedere, una legge, che de facto ha imposto non solo ai docenti di lettere di mettere in discussione le proprie scelte metodologiche, ha fortemente condizionato il mordente degli interventi correttori, una volta estesi ad emendare anche ciò che non sarebbe stato necessario correggere. 
Pertanto, sarebbe senz'altro una buona idea condurre una nuova indagine su un consistente corpus di scritture scolastiche di una determinata area geolinguistica, per verificare il livello di assorbimento delle forme tipiche del parlato, quali regole sono in fase di standardizzazione, se le maestre sostituiscono ancora arrabbiarsi con inquietarsi perché il primo dei due verbi si addice più ai cani che ai bipedi, e se l'analisi degli scritti sui banchi possa ancora giovare alla ricerca linguistica.




RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI


  • BENINCA' P. et alii (1972), Italiano standard o italiano scolastico?, in "Dal dialetto alla lingua", Atti del IX Convegno per gli Studi Dialettali Italiani (Lecce, 28 Settembre - 1 Ottobre 1972), Pisa, Pacini editore, pp. 19-39. 
  • BIANCHI E. (1941), Spontaneità e pedanteria, in "Lingua nostra", a.I, n. 3, pp. 60-61.
  • CAGNAZZI M.R. (2005), Analisi di fenomeni grammaticali in elaborati scolasticibdel triennio delle superiori, in "ACME", LVIII, pp. 269-302.
  • CISTERNINO S. (2020), L’italiano scolastico in un corpus diacronico di produzioni scritte di alunni della scuola elementare (1933-2016), in «Italiano a scuola», n. 2, pp. 39-102.
  • COLOMBO A. (2011), "A me mi". Dubbi, errori, correzioni nell'italiano scritto, Milano, Franco Angeli editore, pp. 26-29.
  • CORTELAZZO M.A. (2000), Italiano d’oggi, Padova, Esedra,
  • MONEGLIA M. (1982), Sul cambiamento dello stile nella lingua scritta: scrivono i bambini, in Giovanni Nencioni et alii, La lingua italiani in movimento, Firenze, Accademia della Crusca, pp. 241-276.
  • REVELLI L. (2013), Diacronia dell’Italiano scolastico, Roma, Aracne.
  • SERIANNI L./BENEDETTI G. (2015), Scritti sui banchi: l’italiano a scuola tra alunni e insegnanti, Roma, Carocci.


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