CLASSIFICAZIONE (E APOLOGIA) DEGLI ERRORI


Alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, non abbia commesso, scrivendo o parlando, uno strafalcione! Eh, sono sicuro che nessuno ha avuto l'ardire di esporsi, sebbene non possa in realtà sincerarmi materialmente che qualcuno non abbia davvero sollevato anche solo l'indice timidamente.
Chiunque parla o scrive, anche coloro che lo fanno abitualmente, può incorrere in un errore, vuoi per stanchezza o per distrazione, ma anche perché la conoscenza dello standard non è scevra di insidie. Per non parlare poi di coloro che per lavoro o periodicamente devono parlare ad alta voce davanti ad una platea di ascoltatori e sono tenuti o monitorare costantemente il proprio registro linguistico proprio in quei momenti: sebbene ci si sforzi di essere ineccepibili, l'oralità è il regno in cui vige la legislazione della variabilità.
L'errore è antico quanto il linguaggio verbale umano ed è parte integrante delle prassi linguistiche dei membri di qualsiasi comunità di parlanti. 
Il padre fondatore della linguistica generale, monsieur Ferdinand De Saussure, nel suo fondamentale Corso di linguistica generale, parla di un duplice aspetto del linguaggio verbale umano:

  1. la LANGUE: il codice linguistico in sé, selezionato spontaneamente dai parlanti di una medesima comunità come sistema linguistico di riferimento per la comunicazione verbale, ordinaria e straordinaria;
  2. la PAROLE (da non tradurre erroneamente come "parola", che in francese si dice piuttosto "mot"): l'impiego originale che ogni singolo parlante fa di una determinata lingua (ad es. utilizzo ricorrente di alcuni aggettivi esornativi, uso stucchevole di avverbi caratterizzati dal suffisso - mente, alta frequenza di determinate forme nonimali etc.). In italiano si definisce IDIOLETTO questo uso esclusivo e originale del codice PAROLE. 

Dalla teoria di questo semplicissimo binomio, possiamo evincere che l'errore è figlio della PAROLE, degli idioletti di uomini, donne e bambini. E, a proposito della PAROLE, De Saussure aggiunge un'ulteriore informazione, molto interessante in considerazione dell'argomento della presente discussione: 

Nella parole si trova il germe di tutti i quanti i cambiamenti: ciascuno è inizialmente lanciato da un certo numero di persone prima di entrare nell'uso. Il tedesco moderno dice: ich war, wir waren; il tedesco antico, fino al secolo XVI diceva ich was, wir waren (e l'inglese dice ancor oggi I was, we were). Come si è realizzata questa sostituzione di war a was? Taluni, influenzati da waren, hanno creato war per analogia; era un fatto di parole; questa forma, spesso ripetuta e accettata dalla comunità, è diventata un fatto di lingua. Ma non tutte le innovazioni della parole hanno lo stesso successo, e finché restano individuali, non dobbiamo tenerne conto, poiché noi studiamo la lingua; esse rientrano nel nostro campo di osservazione soltanto al momento in cui la collettività le ha accolte - Cfr. De Saussure, 1922: 118

Stando alle suddette parole del professor De Saussure, nell'errore è nascosta la cellula germinale dell'innovazione: gli errori, inconsciamente ripetuti da un congruo numero di parlanti in una determinata fase dello sviluppo diacronico di una specifica lingua, sono suscettibili di essere codificati come regole grammaticali del medesimo idioma in un momento successivo del suo sviluppo lungo la linea del tempo. In poche parole, se un uso linguistico, benché anomalo rispetto alla norma codificata, interviene molto spesso sia nello scritto che nell'orale, persino nell'espressione verbale di giornalisti e personaggi pubblici, anche i più strenui difensori della correttezza della lingua si renderanno conto di combattere una battaglia persa in partenza (si veda, a proposito, la diffusione dell'uso di piuttosto che con valore disgiuntivo, finora fermamente respinto come scorretto dai Cruscanti, come si evince dalla lettura di questo testo, pubblicato sulla relativa pagina del servizio di consultazione linguistica). 

E' facilmente comprovabile che questa dinamica sia connaturata in ogni lingua e, per certi versi, sia alla base delle mutazioni morfologiche che hanno determinato la derivazione delle varietà italo-romanze dal latino volgare. Si veda, a testimonianza di ciò, l'Appendix Probi, un singolare documento, allegato al codice che ha tramandato ai posteri gli Istrumenta artium di un grammatico della tarda antichità di nome Probo (la datazione del manoscritto oscilla tra il IV ed il VI secolo d.C.), prodotto presso lo Scriptorium di Bobbio e oggi conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli (Cfr. MARAZZINI, 1994: 147-148). Nel corpo dell'Appendix vengono elencate ben 227 parole che a gli incauti discepoli del Grammaticus avrebbero scritto o pronunciato erroneamente, accanto ad ogni forma anomala viene riportata la variante conforme alla norma grammaticale allora corrente:

SPECULUM NON SPECLUM

VETULUS NON VECLUS

COLUMNA NON COLOMNA

FRIGIDA NON FRICDA

TURMA NON TORMA

SOLEA NON SOLIA

AURIS NON ORICLA

OCULUS NON OCLUS

VIRIDIS NON VIRDIS

Chissà cosa avrebbe detto il magister dell'Appendix Probi, se gli fosse stato detto che le forme da lui considerate scorrette avrebbero offerto la base etimologica per i relativi sviluppi romanzi!
Insomma, se l'errore si generalizza e diventa patrimonio comune, non deve essere più considerato tale ma uso corrente, se non nuova regola
Se esiste l'errore, esiste anche la norma, ciò che viene riconosciuto dalla maggioranza come ordinaria e razionale consuetudine. Ma questa legislazione grammaticale ha una data di scadenza, anche se apparentemente molto lontana dal tempo in cui è vitale e operativa. 

Gli errori sono più evidenti e molto più condannabili nello scritto che nel parlato. In un'epoca in cui attraverso i social e i più sofisticati sistemi di messaggistica digitale l'italiano medio scrive molto di più di quanto in passato facessero i suoi padri, incorrere in errori e violazioni della norma grammaticale è molto più frequente di quanto si possa pensare, anche in considerazione del fatto che molti contesti diafasici di italiano digitato non obbligano l'emittente a controllare costantemente il tenore del proprio registro linguistico.
Inoltre, nella genesi e nella fenomenologia dell'errore, concorre un fattore che i profani ignorano: l'italiano nazionale è, in realtà, un sistema linguistico che non si assorbe spontaneamente come la lingua madre e si acquisisce soltanto attraverso un percorso di istruzione formale. Pregiudizialmente l'errore viene ricondotto all'area di significato della variabilità diastratica (cfr. Cortelazzo, 1972) e chi lo commette subisce quasi inevitabilmente una sorta di condanna sociale, anche autoimposta: ci si sente poco colti, poco urbani, persone con cui non vale la pena intrattenere alcuna conversazione. In realtà tutti commettiamo prima o poi degli errori: tutti, escluso nessuno. Chi crede di avere la grammatica della lingua italiana sempre in tasca, nel cervello, tra le mani, sulla lingua, si illude di una condizione irreale, si predispone a presentarsi come un saccente e borioso grammarnazi, appesantisce la libera espressione del proprio e dell'altrui pensiero mediante il linguaggio verbale umano.

Ai primi anni Settanta risalgono i primi studi sugli errori prodotti da apprendenti nativi all'interno delle rispettive produzioni scritte (Benincà et alii, 1972; Berruto, 1973. In particolare, lo studio promosso dal gruppo di ricerca, guidato da Paola Benincà, è stato finalizzato all'analisi degli interventi correttori degli insegnanti di lingua italiana su un gruppo di scritture scolastiche):

Il linguista si interessa alla fenomenologia dell'errore in due sensi fondamentali: per servirsene ai fini di chiarire certi aspetti del funzionamento dei sistemi linguistici; ovvero, in assunzione applicativa, per fornire criteri di analisi, interpretazione, valutazione, terapia che permettano di migliorare le tecniche glottodidattiche e di contribuire perciò ad incrementare la funzionalità ed il rendimento della comunicazione mediante la migliore padronanza possibile dello strumento lingua. - Cfr. Berruto, 1973: 57.


Nell'approcciarsi all'errore, tutti i linguisti non possono fare a meno di individuare delle macroscopiche differenze semantiche tra il concetto di errore, lapsus ed interferenza (o inferenza, che dir si voglia):

  • l'errore è una violazione del codice normativo dela lingua codificata consapevole e voluta: chi commette un errore grammaticale sta adottando un comportamento linguistico con la convinzione che esso medesimo sia corretto;
  • il lapsus sono invece anomalie che colui o colei che vi incorre riconosce come tali e che si commettono per distrazione e/o stanchezza; il lapsus può essere seguito da un'autocorrezione più o meno immediata;
  • l'interferenza è un'anomalia causata dall'intersezione e dalla confusione di due o più modelli provenienti da varietà adiacenti nel continuum (...in realtà 'inferenza' denomina un settore di fenomeni più ampio di quello designato come dall'etichetta 'errore': se si può affermare, come vedremo meglio in seguito, che gli errori sono sempre interferenze, non è vero il contrario - Berruto, 1973: 59);

Nella didattica tradizionale della lingua italiana, il mantra che ha scandito le prassi pedagogiche è stato caratterizzato dall'opposizione tra la coppia sinonimica lingua nazionale-buona lingua e quella dialetto-lingua del diavolo: il sistema primario una volta veniva concepito come un'ostacolo all'acquisizione dello standard (Pino, 1970; Capotosto, 2013). Dopo quasi cinquant'anni di educazione linguistica democratica, ancora oggi nelle prassi pedagogiche degli e delle insegnanti di lingua italiana, rivolte ad apprendenti nativi, non si parte mai dal dialetto o dalla lingua locale per procedere poi con metodologie contrastive (A Roma, presso gli istituti di istruzione secondaria di secondo grado, non si leggono, se non in rarissimi e fortunati casi, i sonetti in romanesco di Giuseppe Gioacchino Belli). Ma è davvero sempre così? La L1 è comunque una zavorra anche per chi scientemente decide di imparare una lingua straniera? Non è questa la sede opportuna per discutere su quanto nuoccia all'apprendimento di un nuovo idioma l'esposizione diretta e prolungata del tempo alle interazione verbali in una lingua "altra". Ci basti considerare soltanto che una L1 come il dialetto o una lingua straniera possano indurre errori ortografici o scelte lessicali poco azzeccate.

Anche abbastanza recentemente, alcuni studiosi italiani hanno riservato un'attenzione particolare alla classificazione e alla tassonomia dell'errore, sulla base dei risultati di uno studio condotto sull'apparato documentario di un corpus di scritture scolastiche (cfr. Cagnazzi, 2005; Serianni/Benedetti, 2009), senza, però, stabilire una graduatoria e/o una gerarchia degli errori. Allo stesso modo, non ha predisposto il podio per il conferimento della medaglia d'oro alle olimpiadi degli "orrori grammaticali", ma sicuramente Adriano Colombo ha descritto con chiarezza e minuziosità le diverse tipologie di errore, riscontrabili nelle scritture scolastiche degli appredenti della secondaria, in un agile volumetto il cui titolo è una celebre ridondanza ("A me mi". Dubbi, errori, correzioni nell'italiano scritto, 2015). Colombo distingue analiticamente l'errore di ortografia, da quello di punteggiatura; individua i malapropismi tra gli errori lessicali; esemplifica gli errori che si annidano nella struttura delle frasi semplici e di quelle complesse; dedica diversi quadri riassuntivi a questioni annosissime come l'utilizzo del pronome obliquo lui in funzione di soggetto, il che polivalente e gli errori grammaticali in alcune celebri opere della nostra tradizione letteraria.

Relativamente agli errori nella scrittura scolastica, più di recente Massimo Palermo (2021), dopo aver sottolineato che, nonostante l'apertura ministeriale alla dimensione della testualità sia vecchia di quasi mezzo secolo, a partire dai programmi per la scuola media del 1979, ancora oggi le più diffuse prassi pedagogiche siano orientate ad attività di riconoscimento ed individuazione, non stabilisce una classificazione tassonomica degli errori, particolareggiata come quella descritta da Colombo (2011), ma individua semplicemente tre tipologie di regole grammaticali, la cui violazione determina un errore più o meno evidente:

  • regole di sistema, ad esempio che -o sia la desinenza che marca il maschile singolare di forme nominali;
  • regole di norma, ad esempio che una completiva in dipendenza da un verbum putandi contenga sempre un verbo al modo congiuntivo; si tratta di regole che possono essere trasgredite anche da parlanti nativi;
  • regole testuali, "assimilabili a pincipi funzionali di buona costruzione che a regole in senso stretto" (Palermo, 2021: 196), senza i quali è difficile rendere un segno efficace e intelligibile; si veda l'esempio suggerito nel medesimo saggio e tratto da Serianni/Benedetti (2009: 196): Quest'anno l'argomento che mi è piaciuto maggiormente di storia sono stati gli Egiziani perché i gatti li consideravano sacri. La frase complessa, apparentemente scevra da imperfezioni grammaticali, è semanticamente ambigua a causa dell'inappropriata dislocazione a sinistra del complemento diretto (con tanto di richiamo per mezzo del clitico) all'interno della causale: l'espressione potrebbe significare che i gatti venerassero i membri del popolo egizio.

Insomma errori, improprietà, anomalie, lapsus, interferenze, sono la dimostrazione della vitalità di una lingua e, soprattutto, della sua naturalità. Ma quali errori entreranno a far parte della grammatica, diventano essi stessi norma? Quali brutti anatroccoli si trasformeranno in splendidi cigni? Quali sozzi e viscidi vermiciattoli diventeranno delle variopinte crisalidi? La risposta è "tutti quanti". Certo, la gestazione della norma varia in relazione alla consistenza della cellula germinale che la originerà. Gli errori di sistema diventeranno norma solo a patto di stravolgere il sistema linguistico e originarne uno nuovo, così come è avvenuto nel passaggio dal latino volgare alle lingue romanze, ma sono necessari parecchi secoli ed un sistema scolastico quasi inesistente. Le violazioni della norma grammaticale che ci concediamo oggi sono, invece, il futuro della lingua italiana. Rassegnamoci! Le completive in dipendenza da verba putandi avranno un verbo al modo indicativo; nessuno si scaldalizzerà se qualcuno utilizzerà piuttosto che con valore disgiuntivo; magari i puntini di sospensione sostituiranno davvero la virgola, il punto e il punto e virgola nelle loro rispettive funzioni.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

BENINCA' P. et alii (1972), Italiano standard o italiano scolastico?, in "Dal dialetto alla lingua", Atti del IX Convegno per gli Studi Dialettali Italiani (Lecce, 28 Settembre - 1 Ottobre 1972), Pisa, Pacini editore, pp. 19-39;


BERRUTO G. (1973), Per una tipologia degli "errori di lingua" negli elaborati scolastici, in "Parole e metodi", V, pp. 57-75; 

CAPOTOSTO S. (2012-2013), Dal dialetto all'errore. Un'indagine sul metodo "dal dialetto alla lingua", in "Studi di grammatica italiana", XXXI-XXXII, pp. 355-374;

COLOMBO A. (2015), "A me mi". Dubbi, errori, correzioni nell'italiano scritto, Milano, Franco Angeli;

CORTELAZZO M. (1972), Avviamento critico allo studio della dialettologia italiana. III. lineamenti di italiano popolare, Pisa;

DE SAUSSURE F. (1922), Cours de linguistique générale, traduzione a cura di Tullio De Mauro (1968), Bari, Laterza,

MARAZZINI C. (1994), La lingua italiana. Profilo storico, Bologna, Il Mulino;

PALERMO M. (2021), Le regole della grammatica e le regole del testo. Riflessione in chiave didattica, in "Italiano a scuola", fascicolo 3, pp. 191-206, diponibile on line alla pagina https://doi.org/10.6092/issn.2704-8128/12993

PINO A. (1970), Su alcune significative forme devianti presenti nell'area napoletana e ascrivibili a modello dialettale, in RILA, II, maggio-agosto;

SERIANNI L./BENEDETTI G. (2009), Scritti sui banchi. L'italiano a scuola tra alunni e insegnanti, Roma, Carocci;

https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/uso-di-piuttosto-che-con-valore-disgiuntivo/11. 


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