L'INSOSTENIBILE FASCINO DEI PUNTINI DI SOSPENSIONE

 


LA PUNTEGGIATURA: NECESSARIO ELEMENTO STRUTTURALE O SUPERFLUO VEZZO SCRITTORIO?

Fin dai primi anni di istruzione formale, ci si abitua a intervallare porzioni più o meno lunghe delle prime scritture con diversi segni grafici, ad ognuno dei quali viene riservata una specifica funzione testuale. Ciò che la maggior parte degli scriventi certamente ignora (o su cui non si interroga affatto) è che la punteggiatura non è vecchia quanto la scrittura, come ha dimostrato, in un breve ma efficace profilo storico della punteggiatura, la compianta accademica Bice Mortara Garavelli (2016: 117-135). 
I primi segni di interpunzione nella scrittura occidentale vengono elaborati esattamente in Grecia, in un periodo anteriore al V secolo a. C. Solo in età ellenistica, però, i grammatici bizantini, tra cui spicca in particolare Aristofane di Bisanzio (225-180 a.C.), perfezionano forme e tipologie di quei simboli paragrafematci, deputati ad indicare l'intonazione di un testo, se letto da terzi, oppure evidenziare le pause nell'articolazione di un discorso, precedentemente progettato in forma scritta, che un retore avrebbe dovuto tenere in pubblico.
La Mortara Garavelli ci informa altresì che Cicerone, Quintiliano, e tutti gli altri esperti di retorica e di buon latino, vissuti, attivi e defunti nel lunghissimo millennio della latinità classica, non amavano particolarmente la punteggiatura e si affidavano a pochi segni grafici per ricordare, in fase di produzione orale, quando fermarsi, quando adottare l'intonazione interrogativa, o semplicemente alzare il tono della propria voce per mimare un'esclamazione.
Veri e propri segni di interpunzione, utili al lettore silenzioso per l'individuazione visiva delle parti strutturali di un qualsiasi testo scritto, vengono introdotti a Bologna, nel XIII secolo, dagli esperti dell'ars dictaminis. Questi segni si perfezionano nei secoli successivi: nel XIV secolo vi fanno ricorso, anche in epistole private e minute, grandi autori della tradizione letteraria italiana (come, ad esempio, Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio). 
La vera svolta, però, avviene solo nel XIX secolo, soprattutto in corrispondenza della diffusione della codificazione grammaticale sulla base delle scelte linguistiche manzoniane. Se Giacomo Leopardi era abbastanza parsimonioso nell'uso della punteggiatura, i manoscritti e i testi a stampa firmati da Ugo Foscolo e Alessandro Manzoni traboccavano di segni interpuntivi. In particolare, le modalità di impiego di determinati segni paragrafematici, selezionate da Manzoni per la stesura de I promessi sposi, sarebbero diventate la norma all'interno di quelle grammatiche che oggi possiamo definire effettivamente "manzoniane" (mi riferisco in particolare alle opere grammatografiche di Raffaello Fornaciari, oppure di Morandi-Cappuccini). 
In riferimento al topic del presente post, è stato interessante apprendere dalla lettura del compendio di storia della punteggiatura, stilato da Mortara Garavelli, che anche a metà dell'Ottocento, in uno di questi prontuari di bella lingua e bella scrittura (più precisamente, l'opera di Giuseppe Riguttini, La unità ortografica della lingua italiana, 1855), appare la prima critica alla punteggiatura sovrabbondante, e non necessaria, alle geminazioni immotivate dei punti interrogativi ed esclamativi, e alla ricorrente frequenza dei puntini di sospensione "che tanto piacciono a certuni, fino a mettere nelle pagine più puntolini che idee" (Mortara Garavelli, 2016: 131).

Oggi, la teoria sulla punteggiatura, sulla base dei criteri distributivi della cosiddetta "grammatica tradizionale", viene quasi sempre collocata nelle pagine iniziali del manuale destinato agli studenti delle scuole secondarie di primo grado o del primo biennio della secondaria di secondo grado:

Nata come aiuto alla lettura ad alta voce dei testi (funzione ortoepica), con la diffusione della stampa e il conseguente cambiamento della modalità di lettura (che diviene individuale e silenziosa), scopo preminente della punteggiatura diventa aiutare il lettore ad interpretare il testo, rendendo evidenti i rapporti logico-sintattici tra le parti di cui si compone. A partire dall'Ottocento, la punteggiatura ha cominciato ad assumere anche una valenza testuale, orientata cioè a mettere in rilievo aspetti comunicativi.
 (Baratter,/Italia, 2022: 34)

Anche in recenti pubblicazioni sulla norma dell'italiano standard (alcuni dei quali scritti dai medesimi linguisti, in veste di autori di grammatiche scolastiche), la direttiva più suggerita, a proposito di punteggiatura, è quella di rispettare, con attenzione e rigore, determinati criteri di applicazione dei segni di interpunzione nei contesti diafasici scritti più formali, sentendosi liberi anche di giocare con punti e virgole quando si compilano i messaggini di Whatsapp o le stringhe di testo su Facebook.

La punteggiatura: l'insieme dei segni interpuntivi che ci servono per...per cosa, esattamente? Possiamo dare due risposte diverse:
- regolare il ritmo della lettura di un testo, indicandoci i vari tipi di pause (funzione prosodico-pausativa), oppure
-esplicitare il senso di quello che stiamo scrivendo (funzione logico sintattica)
(Cfr. Gheno, 2016: 68)

Fatta eccezione per quella che chiamiamo la punteggiatura espressiva (il punto interrogativo, il punto esclamativo, i puntini di sospensione), la punteggiatura ha poco a che vedere con la voce, con le pause, con il parlato. La punteggiatura è anzi lo strumento più squisitamente legato alla dimensione scritta della lingua, è l'aspetto più specifico, più peculiare della lingua scritta. (Cfr. Giuseppe Antonelli, 2016, Punto per punto. Punteggiatura e sintassi, intervento registrato per il canale Mondadori Education).



Le regole dell'italiano scritto che riguardano la punteggiatura sono più flessibili rispetto ad altre norme grammaticali e lasciano notevole spazio al gusto personale e alle intenzione espressive di chi scrive. L'uso della punteggiatura varia molto a seconda che il testo scritto sia destinato alla sfera privata oppure a un uso più formale: la libertà nell'impiego dei segni di interpunzione, infatti, è molto più ampia quando scriviamo un sms al cellulare o un messaggio in una chat su Skype o nelle bacheche di Facebook, lo è molto meno quando redigiamo degli scritti "ufficiali (ad esempio se dobbiamo comunicare qualcosa alle insegnanti dei nsotri figli). Quando poi stiamo scrivendo un testo destinato alla stampa dobbiamo rispettare obbligatoriamente tutte le regole dell'uso interpuntivo.
In ogni caso ricordiamo il criterio valido per tutte le forme che disciplinano l'uso della lingua scritta e parlata: la libertà di infrangere ha valore soltanto quando si conoscono bene le regole e si è capaci di rispettarle.
Un uso scorretto della punteggiaura molto spesso indica poca dimestichezza con la scrittura e con la lettura, e trasmette immediatamente ai nostri interlocutori l'idea di una persona con carenze sul piano linguistico e culturale.
(Perini, 2009: 42)

l'uso dei segni d'interpunzione è un settore in forte movimento e con un alto indice di variabilità al suo interno. Intanto, è forte l'escursione di variabilità al suo interno. Intanto, è forte l'esclusione tra la scrittura privata e quella destinata al pubblico: la punteggiatura è sommaria e abborracciata in un 'messaggino', poco più articolata in un compito di scuola media, ma è inappuntabile in un testo a stampa sottoposto a revisione editoriale. La tipologia del testo condiziona la rigidità dell'uso interpuntivo: in un testo giuridico, ad esempio, la necessità di perseguire un dettato il più possibile vincolante nell'interpretazione si serve, anche per raggiungere lo scopo, di un impiego accorto e consapevole di una virgola o di un segno di due punti. La letteratura creativa, infine, può violare alcune regole tradizionali, in una misura inimmaginabile per altri settori della lingua.
(Serianni, 2006)


Nella Prima lezione di grammatica Serianni non affronta affatto la questione del corretto utilizzo dei puntini di sospensione all'interno dei testi scritti. Ciò, molto probabilmente, è dovuto al fatto che il suo agile volumetto sia stato concepito e pubblicato in un momento storico antecedente alla diffusione generalizzata dei social media. Viene evidenziato invece l'abuso delle virgolette metalinguistiche, soprattutto in alcuni specifici contesti diafasici, come le scritture dei più giovani (Ibidem: 128-129). Con la nascita dell'italiano digitato, infatti, gli scriventi dell'era multimediale rielaborano in forma creativa e originale le tradizionali consuetudini dell'utilizzo dei segni diacritici interpuntivi. 

Se una punteggiatura poco congruente con la norma corrente viene esibita all'interno di una chat di Whatsapp, scandalizzarsi risulterebbe esagerato e fuori luogo; ma se punti, vigole e tutti gli altri segni intepuntivi vengono utilizzati come orpelli decorativi in una lettera inviata ad un docente, o anche semplicemente all'amministratore di condominio, il rischio è allora fare la figura dell'analfabeta.

USO E ABUSO DEI PUNTINI DI SOSPENSIONE: ANALISI DI UN "MINI-CORPUS" DI ITALIANO DIGITATO

Post pubblicati su Facebook dalla casalinga di Voghera, storie dell'influencer di turno che due o tre volte al giorno in questo modo si interfaccia ai suoi follower, stringhe di testo che costellano le chat di un gruppo Whatsapp: sono alcuni prototipi testuali di italiano digitato in cui è difficile non notare l'insistita sovrabbondanza di puntini di sospensione, in alcuni casi concepiti come alternative equipollenti a punti fermi e virgole. In siffatti contesti diafasici, come già detto in questa sede, difficilmente si subisce la reprimenda di un grammarnazi se il punto fermo gemina magicamente a fine frase.
In questo modo, accade, non di rado, che anche un noto linguista (di cui non farò il nome nemmeno sotto tortura) decida di "agglutinare" qualche punto di troppo (figura 1):


FIGURA 1


Ad uno sguardo più attento all'interpunzione di questo post, ci si accorge piuttosto della logica con cui i puntini sono stati usati, ossia come coronamento di un elenco che sarebbe potuto proseguire all'infinito (Federica la saguinaria, Lilli ...). La logica scrittoria è palese, certamente non c'è stata alcuna sovrapposizione tra punti di sospensione e virgola. 

Lo scrivente è, però, un uomo che si guadagna da vivere scrivendo saggi di linguistica italiana. La musica cambia, quando invece un comune mortale (tanto per definire simpaticamente un uomo o una donna che non partecipa di alcuna scientificità accademica) scrive del più o del meno in una storia di Instagram (figure 2 e 3):


FIGURA 2




FIGURA 3

I puntini di sospensione, insomma, non indicano la prosecuzione dell'elencazione di n elementi. Sostituiscono semplicemente il punto fermo, che, in un contesto formalmente più sorvegliato, avrebbe campeggiato sicuramente a suggello della frase. Idem comparate su Whatsapp: sarebbe impensabile correggere un interlocutore che al posto della virgola opta per i puntini. L'importante è comunicare efficacemente e con chiareza il proprio pensiero per evitare equivoci e fraintendimenti; non importa se una stringa di testo sia crivellata di puntini di sospensione (figure 4 e 5): 




FIGURA 4

FIGURA 5


La reazione è necessariamente diversa quando l'autore o l'autrice del testo è un o una responsabile di autorità genitoriale che necessità di comunicare qualcosa al docente di lingua italiana della prole, per mezzo di una lettera elettronica (figura 6):


In quest'ultimo esempio, non si tratta esattamente della medesima tipologia testuale dei messaggini su Whatsapp o delle stringhe di testo su Facebook o Instagram; stiamo parlando di una missiva inviata ad un pubblico ufficiale, che è, tra l'altro, il docente, responsabile dell'educazione linguistica della pargoletta dell'incauta autrice di questa lettera (il quale, qualora si fosse interrogato sul retroterra culturale della studentessa, attraverso questo messaggio si sarebbe chiarito le idee in proposito).
Non solo nel testo si osserva il ricorso quasi eclusivo ai puntini di sospensione (apparentemente gli unici segni di interpunzione possibili per la scrivente), ma in un gruppo di punti si arriva anche a contarne sette. Non c'è dubbio che questo specifico uso della punteggiatura sia una scelta stilistica influenzata dall'italiano digitato, dalla scrittura dei social media, probabilmente l'unica forma contemplata dalla nostra scrivente.
Non che sia necessario ribardirlo, ma il destinatario, la tipologia testuale, l'eventualità che quanto scritto venga stampato e pubblicato in futuro, sono fattori che condizionano la maggiore o minore rigidità del controllo formale nella redazione di un testo. Se le circostante prevedono rigore formale, è necessario che l'autore del testo conosca quanto la norma corrente prevede per l'uso della punteggiatura. 

COSA DICE LA NORMA?

Sarà utile una breve rassegna delle indicazioni degli esperti sull'utilizzo dei puntini di sospensione, conformi alla norma codificata: 

I Puntini di sospensione sono tre, solo tre, unicamente tre: non due, dato che potrebbero sembrare un errore di digitazione, e non quattro, fondamentalmente perché non servirebbero (è una norma che si è fissata tardi nell'Ottocento, tanto che nelle varie edizioni del Vocabolario degli Accademici della Crusca se ne trovano ancora quattro). Sicuramente non cinque, sei sette o anche di più come amano fare alcuni nella prosa informale: *allora...............che si da?!?!?!?!?! Peraltro, molti programmi di videoscrittura ci semplificano la vita trasformando automaticamente i tre puntini in un unico carattere: uno dei casi in cui, se lasciamo fare al software, possiamo chiarire i nostri dubbi.

- Tra i loro usi, quello primario di lasciare una frase in sospeso, in questo caso, i puntini vanno scritti attaccati alla parola che precede: forse ci rivedremo...
- Possono, tuttavia, essere usati anche all'inizio di una frase. In questo caso, l'iniziale della prima parola della frase va con la maiuscola, e i tre puntini non sono attaccati alla parola che precede ma alla parola che segue: ...E quindi che succede adesso?
- Inseriti all'interno di una frase o di un discorso, invece, i puntini di sospensione indicano un'esitazione, un imbarazzo, un cambio di progettazione. Si noti che in questo caso i puntini sono sempre attaccati alla parola che precede, e la parola che segue va con la minuscola, dato che il discorso non si è interrotto: Ma allora...che cosa sei venuto a fare?
- Alcuni usano i tre puntini, staccandoli sia da quello che precede sia da quello che segue, per indicare un'omissione. Si consiglia, in questo caso, di completare i tre puntini con delle parentesi quadre, in modo da indicare più chiaramente l'espunsione: meglio quindi [...] possiamo concludere che di *quindi...possiamo concludere che.
Chi suole risolvere cruciverba, avrà familiarità con un altro impiego dei puntini, per indicare che ciò che segue non va preso alla lettera. In una definizione come in mezzo...al mare, i puntini indicano che non dobbiamo pensare letteralmente a cosa ci sia in mezzo al mare, ma semplicemente alle due lettere centrali della parola, ar.
In un testo argomentativo, capiterà di rado di dover usare puntini, a parte per gli omissis. Sono un segno di cui non bisogna abusare nemmeno in altri contesti: siamo tutti d'accordo sul fatto che un testo cosparso di puntini di sospensione risulti snervante sempre, anche su Facebook?
(Gheno, 2016: 76-77)

I puntini di sospensione sono usati in numero variabile: dovrebbero essere tre, questa competenza manca a molti che pure sono andati a scuola. Come antidoto contro il grammarnazismo da puntini possiamo ricordare che è vero che oggi, secondo la norma sono tre, ma ancora nell'ultimo vocabolario degli Accademici della Crusca erano regolarmente quattro. Anche in questo caso, la regola si è fissata molto tardi. Molti utenti amano scrivere messaggi in cui l'unico segno di punteggiatura sono proprio i puntini. L'effetto, a volte, è di un parlato con continue - e quasi fastidiose - esitazioni.
(Gheno, 2017: 87) 

I puntini di sospensione devono essere usati in numero fisso di tre e servono ad indicare:

  • un discorso lasciato in sospeso (per convenienza, per imbarazzo, per reticenza o per alludere a qualcosa ecc.): si tratta di una persona un po'...strana, vorrei dirti una cosa...difficile da spiegare; ci sarebbe da pagare...un obolo al funzionario;
  • le pause e le interruzioni nel discorso proprie del parlato; ...allora...mi sembra di capire che...te ne vorresti proprio andare via?
  • racchiuse tra parentesi tonde (...) o quadre [...] per indicare l'omissione di una parte del testo che si vuole citare.
    (Cfr. Perini, 2009: 45).
I puntini (normalmente tre) di sospensione indicano che il discorso non è finito: a volte hanno funzione eufemistica, sostituendo un'espressione interdetta, si noti che nel riportare discorsi diretti o indiretti questa funzione eufemistica è spesso ambigua: può non essere chiaro se l'autore sostituisce con i puntini un'espressione sconveniente usata dal personaggio o se trascrive con i puntini il silenzio con cui il personaggio ha sostituito (secondo la figura retorica dell'ineffabilità) l'espressione interdetta. Il punto esclamativo (quanto più possibile evitato nelle scritture di qualche pacatezza ed equanimità, e sempre più considerato indice di esagitazione), e il punto interrogativo caratterizzato da due atti linguistici relativi.
(Lepschy, 2016:132)

Esauriamo la questione con la sintesi del parere in merito di Bice Mortara Garavelli (2003: 112-113), eletta ad auctoritas in fatto di punteggiatura: i puntini non sono soltanto di sospensione, ma anche di reticenza quando, per interdizione linguistica, non è opportuno scrivere a chiare lettere una determinata parola (un insulto, una bestemmia, una parolaccia); possono essere puntini di esistazione quando marcano nello scritto la pausa che precede immediatamente la conclusione di un motto di spirito; sono di omissione quando, all'interno di una citazione e delimitati da parentesi quadre, marcano parti del testo citato che non è necessario trascrivere; e, infine, come nell'esempio della figura 1, possono far intendere che un elenco può proseguire ad libitum.

In conclusione e fuori dai denti: sarò certamente il rappresentante di una sparuta minoranza, però, davvero, anche quando sono in vena di riempire un mio messaggino di varie inferenze diamesiche, come vuole la più autentica grammatica dell'italiano digitato, proprio non riesco ad appesantire stupidamente il testo con tali inutili infantilismi.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  • BARATTER P./ITALIA P. (2022), La bella lingua, Brescia. Editrice La Scuola.
  • GHENO V. (2016), Guida pratica all'italiano scritto (senza diventare grammarnazi), Firenze, Franco Cesati Editore.
  • Eadem (2017), Social-linguistica. Italiano e italiani dei social network, Firenze, franco Cesati Editore.
  • LEPSCHY A.L./ LEPSCHY G. (2016), La lingua italiana. Storia, varietà, grammatica, Milano, Bompiani; 
  • MORTARA GARAVELLI B. (2003), Prontuario di punteggiatura, Roma-Bari, Laterza;
  • SERAFINI F. (2012), Questo è il punto. Istruzioni per l'uso della punteggiatura, Roma-Bari, Laterza;
  • SERIANNI L. (2006), Prima lezione di grammatica, Roma-Bari, Laterza.
  • https://youtu.be/7ymT08g8nGw?si=kMls7UzBIyKnLuWh 


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