FARINA "ITALIANO", 100% MACINATA A PIETRA

Non si può parlare di storia della lingua italiana, o di lingua italiana tout court, senza riferirsi all'attività dell'Accademia della Crusca, un'istituzione la cui cellula germinale è costituita da un gruppo di gaudenti intellettuali fiorentini con un grande senso dell'umorismo, vissuti tra la fine del XVI secolo e gli albori del XVII. Molto probabilmente l'italiano medio non conosce bene la storia, la funzione e la finalità di questa secolare accademia, anche se i suoi affiliati sono molto attivi sui social e animano un prezioso servizio di consulenza linguistica a cui possono accedere tutti, ma proprio tutti: dall'apprendente di scuola primaria al dottorando in linguistica italiana.



Firenze, primi anni Ottanta del Cinquecento: da circa quarant'anni la cultura della capitale del Ducato mediceo è appannaggio dell'Accademia fiorentina. Ne sono membri personalità come Ludovico Capponi e Benedetto Varchi. Le loro discussioni vertono intorno alla superiorità della lingua fiorentina, al magistero di autori come Dante Alighieri e Francesco Petrarca, e le loro disquisizioni si contraddistinguono per rigore formale e profondità concettuale. Proprio in quel particolare momento altri sapienti, che, invece, avevano il privilegio di prendersi molto meno sul serio, decidono di animare l'intellighenzia fiorentina con discussioni più comprensibili, più ironiche, meno solenni: le cosiddette "cruscate". 

Anch'essi amavano Dante e Petrarca, ma erano altrettanto sensibili al realismo linguistico del Decameron di Giovanni Boccaccio. La peculiarità delle loro riunioni erano l'umorismo, l'ilarità, il buon vino, succulenti banchetti e discorsi semiseri. Certamente, nel corso delle loro riunioni, si poteva disquisire liberamente di arte, di letteratura e intorno a questioni linguistiche, ma mai tali scambi verbali sarebbero stati contaminati dalla seriosa pedanteria che solitamente contraddistingue l'ars dicendi di un accademico. 

"Cruscata" era sinonimo di un motto di spirito, rafforzato e reso sagace da specifici riferimenti culturali.

Ad un certo punto, e precisamente nel 1582, all'allegra brigata dei cruscanti si aggrega un certo Leonardo Salviati (Firenze, 1939 - 1589), discendente da una nobile famiglia fiorentina caduta in disgrazia come molte altre gentes; egli fu letterato, filologo, nonché curatore di un'edizione moralizzata del Decameron di Giovanni Boccaccio, dal testo del quale aveva espunto i vocaboli più marcati in senso diastratico, e di cui aveva riscritto di suo pugno le descrizioni più esplicite: d'altronde, il Decameron era stato inserito nell'Indice dei libri proibiti (Index librorum proibitorum) nel 1560 e i dettami del Concilio di Trento erano imprescindibili per chi, come Salviati, era alle dipendenze di un porporato (le sue scelte filologiche e le sue idee sulla lingua sarebbero state poi oggetto del trattato titolo Avvertimenti della lingua sopra'l Decameron, pubblicato nel 1586).

Fu Salviati che esortò con successo i cruscanti a dare forma e rigore al loro status di liberi intellettuali: l'allegra brigata divenne, dunque, una vera e propria accademia, della cui funzione e della cui finalità erano consapevoli gli stessi membri. Ai frizzi e ai lazzi che denotarono l'attività del gruppo, precedente all'ingresso di Salviati, venne sostituita un'attività linguistica e filologica assidua e indefessa. 

In riferimento alle vecchie "cruscate", la parola "crusca" contraddistingue il nome della nuova accademia, proprio per indicare quel processo di raffinazione linguistica a cui Salviati e compagni avrebbero sottoposto il volgare degli autori del passato e del presente. Di ciò ne sarebbe stata testimonianza eloquente anche lo stemma, il frullone, un antiquato macchinario medievale con cui i contadini erano soliti depurare la farina dalle scorie del processo di macinazione del grano; nonché il motto Il più bel fior ne coglie. Ogni membro dell'Accademia della Crusca doveva scegliere per sé un soprannome (che richiamasse in qualche modo il campo semantico della farina) e un motto. Entrambi avrebbero adornato lo stemma personale dell'accademico, riportato su una pala, l'utensile con cui i fornai introducono il pane crudo nel forno e lo estraggono dorato e fragrante (ad es. Leonardo Salviati decise di chiamarsi INFARINATO, il suo motto fu GRUFOLANDO, e lo stemma della sua pala consisteva nell'immagine di un riccio che affonda le sue zampine dentro una montagna di candida farina). 

Qualora non fosse chiaro finora, il fine ultimo della Crusca fu l'affermazione del primato linguistico del volgare fiorentino. Da ciò derivò l'attività filologica e lessicografica, portata avanti in assenza del leader che passò a miglior vita nel 1589. 

I cruscanti, nonostante l'indiscusso dilentantismo, senza alcuna sovvenzione economica da parte dei duchi di Toscana, finanziarono con le loro personali risorse materiali un'edizione a stampa della Commedia di Dante, nel 1590 (la lingua di Dante non era stata pienamente apprezzata da Pietro Bembo), nonché la produzione del Vocabolario degli Accademici della Crusca, nel 1612, a vent'anni dalla fondazione dell'Accademia, presso la tipografia venziana di Giovanni Alberti. Per la compilazione dell'impresa lessicografica i cruscanti procedettero allo spoglio delle opere in volgare delle tre corone, ma anche di autori minori, comunque fiorentini o toscani, antichi e contemporanei. 

Nel Vocabolario comparvero quindi parole dialettali come manicare (mangiare) e caro (carestia), grafie con l'h etimologica e il nesso consonantivo ct

Fu un'impresa non da tutti celebrata con entusiasmo, anzi non mancarono critiche e riserve nei confronti del fiorentinismo palesato dai cruscanti. Il successo del vocabolario venne però sancito da ben cinque edizioni. Dopo la prima del 1612, infatti, videro la luce:

  • la seconda edizione nel 1623 (con un leggero aumento delle voci censite nella prima edizione); 
  • la terza edizione nel 1691 (in tre volumi, caratterizzato dallo spoglio delle opere di Torquato Tasso, precedentemente non considerato dai cruscanti);
  • la quarta edizione, pubblicata a Firenze tra il 1729 e il 1738, da cui vengono eliminate le citazioni dai trattati tecnico-scientifici;
  • la quinta edizione, in undici volumi, compilata dal 1863 (Roma non era ancora capitale del regno d'Italia) al 1923, anno in cui il censimento lessicografico si arrestò alla lettera O di OZONO.

l'Accademia subì nel corso dei secoli chiusure arbitrarie, momenti di stasi, ma anche fasi di rinnovato prestigio, soprattutto per effetto della presenza culturalmente solida di grandi linguisti, come Bruno Migliorini, che nel 1955 tentò di rilanciare la compilazione di un nuovo vocabolario.

Oggi la Crusca non si occupa più di lessicografia, ma offre uno scrupoloso e attendibile servizio di consulenza linguistica aperta a chiunque (anche ad un bambino come Matteo, proveniente da Copparo in provincia di Ferrara, che nel febbraio del 2016 venne esortato dalla sua maestra Margherita a richiedere una consulenza da Maria Cristina Torchia a proposito della possibilità che un aggettivo da lui coniato, petaloso, entrasse stabilmente nel vocabolario dell'uso). l'Accademia è molto attiva anche sui social, soprattutto su Facebook e Twitter, comprensibilmente meno su Instagram. Lo spoglio e la catalogazione delle parole che costituiscono il tesoro della lingua italiana delle origini sono ormai monopolio dell'OVI (Opera del Vocabolario Italiano), che ha sede a Pisa.

I membri e i presidenti della Crusca sono illustri docenti di linguistica italiana dei più grandi atenei italiani: Francesco Sabatini, Claudio Marazzini, Nicoletta Maraschio, Paolo D'Achille, il compianto Luca Serianni e il mio professore Pietro Trifone.

Oggi la Crusca non conserva più la tetragona facies del purismo delle origini, ma diffonde una sensata e realistica conoscenza del nostro idioma nazionale. 

Riferimenti bibliografici

  • MARAZZINI C. (2003), La lingua italiana. Profilo storico, Bologna, Il Mulino;
  • ANTONELLI G. (2022), Il museo della lingua italiana, Milano, Mondadori.

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