BREVE MA EFFICACE PROFILO STORICO DELLA LINGUA ITALIANA

L'immagine fotografica, riprodotta qui a sinistra, è uno scorcio del monumento commemorativo a Dante Alighieri, eretto a Tagliacozzo, nemmeno un anno, fa nella piazza, proprio al centro della piazza intitolata alla memoria dell'opera e del magistero poetico del Sommo. La cerimonia di presentazione, presieduta dal giovane sindaco Vincenzo Giovagnorio, ha visto la partecipazione del Presidente della Repubblica, on. Sergio Mattarella.



Poter studiare latino e greco per un parlante italiano è davvero un'incommensurabile fortuna, non solo perché i Greci e i Romani furono i padri di due civiltà e due culture prestigiose e affascinanti, ma anche perché, seppur contaminata e permeabile al prestigio e alle influenze di altre varietà, la facies dell'italiano standard rivela le sue indiscutibili radici romanze. Conoscere il latino, saper tradurre la lingua di Cicerone e di Virgilio, significa avere una marcia in più, essere ricettivi nei confronti della lingua italiana, essere capaci di individuare con disinvoltura il valore semantico di qualsiasi forma verbale e nominale desueta e rara. 
A seguito dell'effetto delle forze disgregatrici dell'Impero romano d'Occidente, le varietà diatopiche della lingua latina si perfezionarono ulteriormente, differenziandosi tra le varie aree che per molti secoli erano state inesorabilmente soggette al medesimo governo. Da quella massa eterogenea e caleidoscopica, che gli storici della lingua italiana definiscono latino volgare, ne scaturirono le lingue romanze o neolatine (francese, spagnolo, portoghese, rumeno e italiano). Nonostante i parlanti continuassero a selezionare spontaneamente i loro rispettivi volgari (ovvero la lingua parlata dal vulgus, il popolo), il latino rimase per molto tempo la lingua della liturgia e della cultura, il medium linguistico con cui i rappresentanti dell'intellighenzia del Vecchio Continente promossero liberamente il loro pensiero, le loro scoperte, le proprie rispettive posizioni ideologiche.
A partire dai secoli IX e X affiorarono le prime testimonianze scritte nella lingua a cui effettivamente facevano ricorso i parlanti: l'indovinello veronese, l'iscrizione di Comodilla, il Placito di Capua (cfr. Arrigo Castellani, I più antichi testi italiani, Patron, Bologna 1976). Dopo circa due secoli il fiorentino si diffuse, limitatamente alla comunicazione scritta, in tutte le parti d'Italia.
Tra il medioevo e l'età moderna, d'altronde, Firenze era la città più ricca, più dotta ed elegante della Penisola: dalla seconda metà del XIII secolo fino alla fine del Trecento, la lingua e la letteratura di Firenze guadagnano prestigio grazie alle opere di Dante Alighieri (1265-1321), Francesco Petrarca (!304-1374) e Giovanni Boccaccio (1313-1375), spesso conosciuti con l'originale epiteto de LE TRE CORONE, che li individua contemporaneamente. Le opere di Dante hanno una diffusione capillare anche in senso diastratico, sono lette e imitate ampiamente: con esse il fiorentino si diffonde come varietà di prestigio.
Il Decameron di Boccaccio e il Rerum volgarium fragmenta di Petrarca divennero presto i modelli rispettivamente per la produzione letteraria in prosa e per quella in versi. Nonostante il prestigio della varietà di Firenze, in tutta la Penisola, complice la mancanza di uno stato unitario e la realtà del frazionamento municipale, un ipotetico processo di unificazione linguistica stenta a determinarsi, e sia nella produzione scritta che nel parlato quotidiano sono le varietà italo-romanze a farla da padrone.
Con l'invenzione della stampa a caratteri mobili, a partire dalla seconda metà del quindicesimo secolo, l'arte della stampa consentì una più ampia diffusione di libri e unificò il modo di scrivere le parole. Relativamente a questo periodo le testimonianze degli scriventi, non protetti da Calliope, sono particolarmente prezione, ci consentono infatti di ricostruire una fotografia, anche se un po sbiadita, della viva voce dei parlanti.

LA QUESTIONE DELLA LINGUA
Il Cinquecento è il secolo in cui si genera e si sviluppa l'annosa controversia sulla norma linguistica da adottare nella scrittura, meglio conosciuta come la "questione della lingua", che ebbe un avvio ante litteram con il De vulgari eloquentia di Dante (da cui prende il nome la nostra silloge dei pensieri sull'italiano), in tempi in cui questioni concernenti la lingua non interessavano quasi nessuno. Nel 1525, attraverso un trattato in forma di dialogo intitolato Prose della volgar lingua, il cardinal Pietro Bembo (lo ricordate? circa un mese fa ve l'ho presentato) affermò l'esigenza di rifarsi al Toscano arcaico, rappresentato dal Boccaccio per la prosa e dal Petrarca per la poesia. La posizione del Bembo si affermò trionfalmente e questa affermazione venne sancita dall'Accademia della Crusca. Il tipo di lingua vagheggiato dai compilatori del VOCABOLARIO DEGLI ACCADEMICI DELLA CRUSCA è il fiorentino dei grandi Trecentisti. Esso è la prima grande impresa lessicografica europea e farvorì lo sviluppo di una tendenza classicista e arcaizzante, il "purismo".

Nell'età del Barocco fu significativa e rivoluzionaria la scelta di Galileo Galilei (che pure in latino aveva discusso della sua scoperta dei satelliti medicei attraverso il trattato dal titolo Sidereus Nuncius) di scrivere di scienze naturali soltanto in volgare.

Ma una prima e significativa reazione al purismo della Crusca si ebbe soltanto nel XVIII secolo da parte di un gruppo di intellettuali che si riuniva intorno alla rivista "Il Caffè", animata dai fratelli Pietro e Alessandro Verri. Essi rivendicarono l'esigenza di una lingua nuova, un italiano più duttile, capace di accogliere neologismi e forestierismi, necessariamente connessi allo sviluppo del metodo scientifico moderno, alle trasformazioni dell'economia e agli spontanei mutamenti nel costume e nella cultura in generale. Comune denominatore di tutte le opere dell'età dell'Illuminismo è la divulgazione: le frasi diventano meno lunghe, le costruzioni meno elaborate, al complesso periodare d'impronta boccacciana si sostituisce il cosiddetto "stile spezzato, asciutto e incisivo".

L'assenza di una norma comune, la frattura tra scritto e parlato, la scarsità di possibilità espressive: ecco i motivi della meditazione linguistica di Alessandro Manzoni, che redasse tre versione del suo capolavoro, I Promessi Sposi. Le tappe della sua opera di revisione linguistica sono così riassumibili attraverso questa breve rassegna di principii: la lingua ha un carattere sociale, la lingua parlata è preminente sulla lingua scritta, Firenze ha un primato liguistico.

Una posizione diversa fu sostenuta dal grande linguista GRAZIADIO ISAIA ASCOLI, per cui le vicende storiche non legittimano più il primato di Firenze. L'unificazione linguistica deriverà da un'azione che promuoverà la circolazione della cultura.
il glottologo Graziadio Isaia Ascoli in una immagine fotografica tratta da sito internet dell'Accademia delle Scienze di Torino: https://www.accademiadellescienze.it/accademia/soci/graziadio-isaia-ascoli

Sia Manzoni che Ascoli pongono in evidenza il nesso che lega la questione linguistica alla questione sociale e culturale: per Ascoli il Manzoni era colui che aveva estirpato dalle lettere italiane l'antichissimo cancro della retorica.

IL PURISMO

Una tendenza al conservatorismo e al purismo vero e proprio nasce agli inizi dell'Ottocento, quando intellettuali come Antonio Cesari (1782-1847) propugnarono il ritorno all'aureo Trecento. Inoltre Pietro Fanfani e Costantino Arlia composero alla fine del secolo il repertorio dal titolo Lessico dell'infima e corrotta italianità.

La battaglia contro i forestierismi viene ripresa durante il ventennio della storia d'Italia caratterizzato dal regime fascista: nel 1932 un quotidiano del tempo, "La Tribuna", bandisce un concorso per trovare sostituti italiani ad alcune parole straniere. Due proposte destinate ad avere fortuna si devono a Bruno Migliorini che suggerì di utilizzare autista al posto di chaffeur e régisseur al posto di regista.

L'ITALIANO MODERNO
Con l'Unità d'Italia, il graduale miglioramento delle condizioni dell'istruzione pubblica, i progressi dell'alfabetizzazione, gli tutti gli abitanti della Penisola scelgono sempre di meno di ricorrere alla varietà italo-romanza nativa per optare per la lingua standard. Contribuiscono alla diffusione dell'italiano anche l'urbanizzazione e l'industrializzazione. Inoltre la leva obbligatoria consente a numerosi giovani di sesso maschile di trascorrere molto tempo a tanti chilometri di distanza dal luogo di origine.
Ma il fattore decisivo per una definitiva diffusione dell'italiano standard si è compiuta con i mezzi di comunicazione di massa e poi con la rivoluzione di internet. Estendendosi a spese di quelle varietà italo-romanze, che tutti hanno sempre definito dialetti, l'italiano standard, generatosi dal fiorentino emendato dei suoi tratti più demotici, è oggi la lingua della nostra nazione.

L'uso che facciamo della nostra lingua riflette i progressi, ma anche le contraddizioni, di una società che è sensibilmente mutata e che continua a mutare.

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