LA GRAMMATICA TRADIZIONALE

Nella storia della cultura occidentale, la prima apparizione della parola grammatica, per identificare uno specifico settore disciplinare, compare nel tardo Medioevo, attraverso la classificazione dei saperi in arti del Quadrivio e del Trivio. In quest'ultimo gruppo, accanto a Retorica e Dialettica, compare la Grammatica, intesa come mero apprendimento della lingua latina (unica lingua al mondo, all'epoca, le cui strutture caratterizzanti erano state codificate da uomini di cultura come Prisciano ed Elio Donato in norme e fenomeni ricorrenti). Tra l'altro, è universalmente noto che il poeta più celebre della tradizione letteraria italiana, Dante, considerasse il latino come una lingua artificiale, progettata a tavolino, in modo da consentire ai membri dell'intellighenzia del Vecchio Continente di superare agevolmente le barriere linguistiche che inevitabilmente li separavano. 
In epoca moderna, le prime grammatiche del volgare (termine ombrello con cui viene definito l'insieme delle varietà italo-romanze, che, anche nella produzione dotta, scritta e orale, stavano sostituendo la lingua latina) furono monopolio di una ritrettissima cerchia di dotti: siamo ben lungi dall'idea del manuale di grammatica della lingua italiana, facilmente reperibile dagli studenti italiani e in circolazione nelle aule scolastiche e nelle abitazioni private dei comuni mortali (FORNARA, 2014). 
Soltanto al termine del XVIII secolo, su impulso delle idee liberali e riformiste degli intellettuali illuministi, presso le scuole seminariali e nei regi istituti di istruzione formale, aperti esclusivamente ai membri della classe dirigente, i docenti corroborarono la loro azione didattica con strumenti bibliografici, antenati dei più moderni manuali di grammatica italiana; tra questi, la Grammatica ragionata della ligua italiana (1765) dello svizzero Francesco Soave, insegnante di Alessandro Manzoni presso il collegio S. Antonio di Lugano. 



Dopo la diffusione in tutta Europa della nuova ideologia liberale scaturita dalla Rivoluzione francese e, più specificamente in Italia, a seguito dell'unificazione nazionale, la duplice esigenza di alfabetizzare il popolo del nuovo Regno d'Italia e diffondere la lingua nazionale generò la proliferazione di manuali, manualetti, agili e agilissimi volumi ad uso dei maestri e delle maestre per l'educazione linguistica dei futuri italiani (cfr. CELLA, 2018; MARAZZINI 2018). In questo quadro, apparentemente così chiaro, occorre avanzare alcune opportune precisazioni (GENSINI, 2006):
  • la legge Casati (1959), estesa a tutto il Regno, prescriveva l'obbligo di istruzione fino all'età di sette anni; il provvedimento legislativo veniva spesso disatteso, soprattutto nelle aree rurali e presso le famiglie meno abbienti, poco inclini a cedere alla scuola della preziosa manovalanza agricola;
  • i processi di istruzione formali furono, per più di mezzo secolo, monopolio dei figli dell'alta borghesia: i tassi di analfabetismo in Italia erano i più alti del Vecchio Continente (mutatis mutandis: anche oggi, i nostri studenti, attraverso la valutazione delle loro competenze nei test e nelle prove standardizzate, dimostrano molto spesso di essere meno performanti dei loro colleghi provenienti dai paesi dell'Europa del Nord), il parlato e lo scritto erano separati da un abisso, e i mezzadri e i piccoli borghesi non avevano altro repertorio linguistico al di fuori del dialetto;
  • con l'edizione quarantana de I Promessi Sposi, Alessandro Manzoni aveva inventato l'italiano standard, sulla base del fiorentino emendato: i libri di grammatica editi in Italia tra la seconda metà del XIX secolo e la prima del XX descrivono fondamentalmente quest'ultima lingua (si veda ad esempio L'idioma gentile di Edmondo De Amicis);
  • nostante nobili e serissimi intenti programmatici, come la famigerata Relazione del Manzoni, senatore del Regno (a questo proposito segnalo l'interessantissimo saggio di PACACCIO, 2018), reclutare insegnanti preparati e formati era quasi più difficile che cercare un ago in pagliaio.

In questo particolare momento storico, la lingua italiana si consolida, si prepara a diventare la lingua di tutti, ad affiancare il dialetto negli usi linguistici dei membri della comunità dei parlanti, e la sua grammatica si cristallizza: un processo di cristallizzazione non privo di rigidità, fraintentimenti e corto-circuiti cognitivi. La buona lingua (definizione che implica che il dialetto sia la lingua cattiva) venne concepita come un monolite, un sistema in cui le opzioni sono sempre obbligate. 
Le classificazioni e le nomenclature delle nuove grammatiche si moltiplicarono in insiemi complessi ed articolati, e probabilemente molti grammatografi  caddero nell'equivoco di considerare norma ed uso come due concetti privi di relazione di conseguenzialità. Nacque e si diffuse (al netto di encomiabili e macroscopiche eccezioni) quell'approccio pedagogico allo studio della lingua italiana che quasi proverbialmente viene definito "grammatica tradizionale"; e, anche se molti linguisti ne parlano ma poi non sanno darne una definizione completa ed esauriente, ci sono delle caretteristiche che la rendono riconoscibile ancora oggi (i manuali di grammatica sfogliati dagli appredenti della generazione Z, al netto degli aspetti più esteriori ed innovativi, rimarcano l'impianto delle opere di Raffaello Fornaciari, Morandi e Cappuccini).

La grammatica tradizionale descrive le forme della lingua scritta e del parlato più formale, non tiene minimamente in considerazione la variabilità diamesica e diafasica. 
Nel 1997 Giulia Fiorentini, per conto del Gruppo d'Intervento e Studio nel Campo dell'Educazione Linguistica (d'ora in avanti GISCEL), ha condotto una ricerca sulle modalità con cui viene trattata la variabilità in un gruppo di grammatiche scolastIche, edite tra la fine degli anni Ottana e l'incipit dei Novanta; nelle conclusionì viene confermata l'ipotesi di fondo per cui le sezioni dedicate alla variabilità "si aggiungono al nucleo centrale della grammatica, ma restano slegate tra loro e rispetto ad esso" (cfr. FIORENTINI, 1997: 15). 
Conclusioni valide ancora oggi, sebbene sia innegabile che descrivere con semplicità e chiarezza una lingua in tutta la sua complessità sia un compito davvero ingrato. In considerazione del tono degli interventi di alcuni docenti(nota 1), viene spontaneo chiedersi se effettivamente la variabilità si traduca in un preciso livello di consapevolezza da parte dei corifei della grammatica tradizionale. 
(nota 1): Nel caso di prove che riflettano l'orizzonte quotidiano dell'alunno è necessario che la lingua e le soluzioni espressive siano conseguenti. Se si chiede di scrivere una lettera a un coetaneo (Scrivi una lettera rispondendo ad un amico che ti ha dichiarato di essere stanco della scuola e di volerla abbandonare; LP, Sicilia), l'insegnante deve saper riconoscere il meccanism prgmatico della presupposizione, del tutto appropriato a questa tipologia testuale, astenendosi da interventi inopportuni (""Avete avuto la tiunione? [Quale riunione?]) e deve accettare il ricorso a forme troppo colloquiali: "Mi manchi un casino! [nel tema non esiste!!!]". "Quest'anno la scuola è uno schifo [troppo parlato!]", "siamo andati a finire proprio nella 'Merda', scusa il linguaggio volgare [il disfemismo è segnato con grande evidenza, ma in realtà l'unica cosa che qui non a è la maiuscola]", "dobbiamo fare come i pazzi [parlato]", "Come ti butta? [E' un tema!!!]". Qualche volta l'etichetta di forma parlata è addirittura errata e nasce da pulsioni ipercorrettistiche del docente che non è acile decifrare: "nel mezzo dell'anno scolastica [forma troppo parlata]". Cfr. SERIANNI, 2009: 82. 

Secondo la grammatica tradizionale la distribuzione dei contenuti deve essere scandita da un ordine e una successione ricorrenti. Che nel libro di grammatica gli argomenti vengano discussi sotto forma di racconto, oppure che nell'economia del volume letture ed esercizi costituiscano il 50%  (come è la fattispece della grammatica per la scuola media di Bruno Migliorini edita la prima volta nel 1941, La lingua nazionaleAvviamento allo studio della grammatica e del lessico italiano per la scuola media; si vedano in proposito BAGGIO 2009; DEMARTINI, 2015; FORNARA, 2014; VIALE, 2018), tutti i manuali scolastici che trattano della norma grammaticale in italiano presentano la consueta distribuzione in fonetica e fonologia, ortografia e punteggiatura, morfologia, sintassi. Se poi l'editore si è sforzato di essere lungimirante, il grammatico ha sicuramene avuto modo di parlare anche di lessico e di linguistica testuale; ma la suddetta quadripartizione è un requisito di riconoscibilità a cui ancora oggi la didattica della lingua italiana non riesce a rinunciare (nota 2).
(nota 2): I manuali scolastici degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso furono sottoposti a spietae requisitorie da parte di linguisti come Raffaele Simone, Giorgio Cadorna, Pier Marco Bertinetto; con gli anni Ottanta il livello è migliorato, ma il libro di grammatica mantiene ancora oggi alcuni difetti strutturali, legati non solo alla forza d'inerzia, ma anche all'intento - espressamente raccomandato dai committenti editoriali - di non discostarsi dalla tradizione per non turbare lorizzonte d'attesa di molti insegnanti, rischiando di compromettere le adozioni (e anch'io - lo confesso - quando scrissi, anni fa, una grammatica per le scuole, poi variamente ristampata e aggiornata, mi sono adagiato in troppi casi sulla consuetudine). Cfr. SERIANNI, 2010: 61-62.

La grammatica tradizionale è espressione di un evidente feticismo tassonomico, alimentato da elenchi più o meno lunghi, schemi sinottici e quadri riassuntivi. Non si tratta soltanto del florilegio di tabelle e infografiche che è stato ed è ancora ostentato con orgoglio, come sinonimo di una promessa efficacia; la mania classificatoria si esprime anche attraverso gli elenchi, apparentemente interminabili, dei diversi complementi indiretti, nonchè delle proposizioni secondarie (o subordinate) esplicite (COLOMBO/GRAFFI, 2017). 

La grammatica tradizionale erge a dogmi norme di comportamento linguistico che non trovano riscontro da nessuna parte, né nella conversazione quotidiana, tantomeno nella letteratura e nei testi formalmente più sostenuti.

Secondo la prospettiva della grammatica tradizionale l'errore è il male assoluto; a quei maestri, sacerdoti della religione della grammatica tradizionale, non passa nemmeno per l'anticamera del cervello che l'errore possa essere una cellula germinale di una prossima innovazione linguistica; a pensarci bene, da questo punto di vista non esiste nemmeno la possibilità di indagare sulle motivazioni di un errore, sulle sue logiche recondite, quando, invece, gli stessi linguisti non hanno sempre una risposta pronta, netta ed univoca, ma parlano di oscillazione, allotropia, intercambiabilità delle scelte. Con buona pace di quanti sostengono che la scuola ha il dovere di semplificare, per scopi didattici, la complessità della lingua, sarebbe opportuno qualche volta chiudere un occhio, anche per non isterilire l'azione educativa medesima (COLOMBO, 2011).
La grammatica tradizionale non è conguente in realtà con la produzione grammatografica e le prassi di educazione linguistica di una fase storica, ormai del tutto superata. Essa è assimilabile ad una categoria dello Spirito, ad un atteggiamento intellettuale, diciamolo, un po' miope e troppo rigido; è l'atteggiamento del grammarnazi che, in fatto di lingua, crede di avere tutte le certezze dell'universo; che si diverte a postare sui social i meme con cui si fantastica della perdita di passione erotica di una ragazza nei confronti di un accompagnatore che usa il condizionale nella protasi di un periodo ipotetico di secondo tipo; che non perde mai tempo per correggere un accento, un pronome, un errore di ortografia; che si ostina a considerare sbagliato l'accento sul pronome in sé stesso, nonostante le dichiarazioni di Luca Serianni in merito siano inequivocabili. In realazione alla scuola, la grammatica tradizionale ha rappresentato per molti linguisti e docenti l'emblema di un'educazione linguista limitata, limitante, che funzionava solo per pochi. 

Riferimenti bibliografici
  • BAGIO S. (2009), L'Italia nelle grammatiche scolastiche del 1941, in "Rivista Italiana di Dialettologia", a. XXXIII, Bologna, CLUEB.
  • DE MARTINI S. (2014), Grammatica e grammatiche in Italia nella prima metà del Novecento. Il dibattito linguistico e la produzione testuale, Firenze, Franco Cesati.
  • CELLA R. (2018), Grammatica per la scuola, in ANTONELLI et alii (a cura di), Storia dell'italiano scritto, Roma, Carocci, pp. 97-140;
  • COLOMBO A. (2011), "A me mi". Dubbi, errori, correzioni nell'italiano scritto, Milano, Franco Angeli.
  • COLOMBO ADRIANO/ GRAFFI GIORGIO (2017), Capire la grammatica. Il contributo della linguistica, Roma, Carocci;
  • GENSINI S. (2005), Breve storia dell'educazione linguistica dall'Unità ad oggi, Roma, Carocci;
  • FIORENTINI GIULIA, Quale italiano parlano le grammatiche?, in R. Calò e S. Ferreri (a cura di), Il testo fa scuola. Libri di testo, linguaggi ed educazione linguistica, Quaderni del GISCEL, Firenze, La Nuova Italia;
  • FORNARA S. (2019), Breve storia della grammatica italiana, Roma, Carocci;
  • MARAZZINI C. (2018); Grammatiche e vocabolari nella scuola el Regno d'Italia, in "Italiano LinguaDue", n. 1, pp. 7-16;
  • PACACCIO S. (2018), Gli Scritti linguistici di Alessandro Manzoni tra grammatica e linguistica: considerazioni generali, in SLI, La cultura linguistica italiana in confronto con le culture linguistiche di altri paesi europei dall'Ottocento in poi, Roma, Bulzoni.
  • SERIANNI L. (2010), L'ora di italiano, Roma-Bari, Laterza.
  • VIALE M. (2010), Migliorini tra grammatica ed educazione linguistica, in SANTIPOLO M./VIALE M., "Bruno Migliorini, l'uomo ed il linguista (Rovigo 1896 - Firenze 1975)", Atti del convegno di studi, Rovigo, Accademia dei Concordi, 11-12 aprile 2008, Rovigo, Concordi editore, pp. 291-311 

 

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