IL ROMANZO STORICO IN ITALIA NEL XIX SECOLO

Su questo particolare genere narrativo, che ad alcuni piace molto, ad altri piace moltissimo, conosciamo ormai le nozioni basilari: in quale periodo storico è stato elaborato, chi ne è stato il promotore, quali sono le sue caratteristiche linguistiche e letterarie più peculiari, quale fortuna ha seguito. Il grande romanzo storico, nella storia della letteratura italiana del Novecento, anche in quella più recente, è soggetto ad un revival. Lettori di diversa sensibilità culturale riscoprono il piacere della sua fruizione. 

Ma la predilezione per questa particolare mistura di verità storica ed invenzione ha subito una battuta d'arresto nel corso dell'evoluzione diacronica del genere medesimo, oppure il gusto per il racconto letterario di eventi del passato non ha mai perso punti, seppur vecchio di poco più di due secoli? E inoltre, chi ha determinato e chi determina il successo del romanzo storico in Italia? Gli scrittori? O il pubblico dei lettori?



CRONISTORIA DEL CONNUBIO TRA STORIA E LETTERATURA: TUTTO COMINCIO' CON UNO SCOZZESE

La storia dell'Europa ha fatto sempre capolino all'interno delle opere di arte letteraria prodotte dagli autori più rappresentativi della nostra letteratura nazionale, fin dalle origini della medesima. Pensiamo ad esempio ai continui e puntuali riferimenti ai personaggi storici, alle guerre e agli eventi nominati da Dante in tutte e tre le cantiche della Commedia, oppure alle trame narrative dei grandi poemi eroico-cavallereschi del XVI secolo, dove presenze inventate dall'estro fantastico dei poeti si incontravano e si scontravano con uomini e donne il cui passato passaggio sulla terra può essere documentato con gli strumenti della storiografia: Orlando Furioso di Ludovico Ariosto (1533); la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso (1575); e L'Italia liberata da' Goti di Gian Giorgio Trissino (1547). 

Tutte queste opere sono però dei poemi, caratterizzati pertanto da una rigida struttura formale, dalla versificazione, dal diffuso utilizzo di abbellimenti retorici: la letteratura, che veniva considerata tale, non contemplava la possibilità di una narrazione in prosa. Il testo narrativo, che oggi è usuale incontrare nella tipica facies formale in prosa, prima della grande rivoluzione letteraria del romanzo nel XIX secolo, era rigorosamente in poesia.

Il romanzo in prosa è un genere letterario che, si sa, nasce in Inghilterra nel secolo dell'Illuminismo e dei caffè come luoghi di simposio intellettuale. Sicuramente il classicismo che caratterizzava l'intellighenzia italiana ha ostacolato la tempestiva fioritura del genere del romanzo nel Bel Paese. Quindi, è naturale che anche il romanzo storico nascesse in terra d'Oltremanica. 

Henry Raeburn, Sir Walter Scott (1822), olio su tela, 76.2 x 63,5 cm, National Gallery of Scotland, Edimburgo

Ma perché già relativamente alla fine del XVIII secolo non si può ancora parlare di "romanzo storico"? Perché il padre di questo particolare genere narrativo è un nobile uomo di legge scozzese, con la passione per la scrittura creativa, vissuto tra il Settecento e l'Ottocento, che nel 1820 diede alle stampe un monumentale romanzo dal titolo Ivanhoe. La storia ivi narrata è incentrata sul conflitto normanno-sassone in un Inghilterra regnata da Riccardo Cuor di Leone (XIII sec.). 

Ma quindi fu sufficiente che uno scrittore organizzasse il suo racconto all'interno di una dettagliata cornice storica per inaugurare un nuovo genere narrativo?

Assolutamente no!

Per parlare effettivamente di moderno "romanzo storico" sono necessari tre requisiti fondamentali:

  • la sapiente mescolanza di verità e invenzione,
  • la preliminare documentazione da parte dell'autore,
  • l'attenzione per la vita materiale del periodo storico che si intende rappresentare compiutamente e la descrizione degli effetti della microstoria sulle vicissitudini degli umili.

Quest'ultimo punto è sicuramente quello più importante. Se una volta la storia con la esse maiuscola veniva scritta dai potenti e illuminava solo ed esclusivamente la loro vita, nel XIX secolo, a seguito di alcuni eventi epocali (il crollo dell'Antico Regime, l'ascesa della borghesia, l'affermazione dei diritti universali dell'uomo), gli studiosi, i filosofi, gli uomini di cultura e, ovviamente, poeti e scrittori guardano con maggior interesse, rispetto al passato, alle classi sociali subalterne, ritenendo le loro sorti degne di rappresentazione artistica. Da qui il realismo che anima opere come il suddetto Ivanhoe.


L'ARCHETIPO DE "I PROMESSI SPOSI"

L'eco della gloria letteraria di Walter Scott raggiunse anche i salotti letterari italiani. In particolare, a Milano (città già simbolo dell'Illuminismo italiano, capitale delle province meridionali dell'Impero Austro-ungarico) la borghesia più progressista accoglie con entusiasmo la novità dei romanzi di Walter Scott, diffusi soprattutto da una fiorente stampa periodica. Non è immune al fascino del romanziere scozzese il nostro Alessandro Manzoni, la cui poetica non fu, appunto, affatto scevra da un'attenta considerazione della storia come magistra vitae. Manzoni si prefiggeva "il vero per oggetto, l'utile per iscopo, l'interessante per mezzo" (cfr. la sua lettera al marchese Cesare D'Azeglio), si era già avvalso della storia medievale per la composizione delle sue tragedie, l'Adelchi e il Conte di Carmagnola, documentandosi e interrogando opere storiografiche imprescindibili (come ad esempio l'Historia Langobardorum di Paolo Diacono). Il desiderio di emulare lo Scott è forse una delle chiavi per interpretare la genesi de I promessi sposi.

Di come nasce e come si evolve la stesura del primo romanzo storico nella storia della letteratura italiana ci siamo occupati diverso tempo fa (leggi qui). 

Oltre ad aver inventato l'italiano standard, Alessandro Manzoni ha elaborato l'archetipo strutturale del romanzo storico, proponendo così un modello da imitare per tutti gli altri autori che avrebbero voluto cimentarsi nella redazione di questa particolare tipologia testuale.

Elenchiamo dunque questi elementi caratterizzanti:

1) una ricerca storiografica, preliminare e approfondita: una volta scelto il periodo storico in cui inquadrare le vicende dei protagonisti del racconto, un romanziere ha il dovere di studiare, di informarsi sui costumi, sulle consuetudini, sull'organizzazione sociale, politica ed economica di quel determinato territorio in quello specifico momento storico. Non trascurerà di approfondire tutti i particolari della macrostoria, mediante la lettura assidua della storiografia ufficiale, privilegiando le testimonianze dirette. Alessandro Manzoni, in particolare, si avvalso delle opere di Giuseppe Ripamonti, autore delle Historiae Ecclesiae Mediolanensis, date alle stampe fra il 1617 e il 1628, del De peste Mediolani quae fuit anno 1630, e delle Historiae Patriae pubblicate postume (1641-1648).

2) la storia non è una cornice ma invade il tessuto narrativo, diviene il motore delle peripezie dei protagonisti: sulla scena interagiranno personaggi fittizi e uomini e donne realmente esistiti, i protagonisti della vicenda interagiranno con illustri personaggi storici, la cui levatura morale e umana verrà sapientemente ricostruita. Allo stesso modo, gli eventi storici più importanti, le guerre, le insurrezioni, i cataclismi naturali saranno determinanti per lo svolgimento dell'intreccio narrativo: Renzo viene coinvolgo nei tumulti di San Martino, realmente avvenuti a Milano nel novembre del 1628; Lucia è ospitata dalla Monaca di Monza, che nel romanzo di Manzoni si chiama Gertrude, ma dietro la quale si nasconde la famigerata Marianna De Leyva; la peste facilita l'eliminazione fisica degli antagonisti.

3) la verosimiglianza linguistica nei dialoghi, per cui un curato parlerà da curato, un contadino si esprimerà come un suo pari, i formalismi caratterizzeranno i discorsi dei membri delle classi sociali più abbienti. La scelta di un dialetto lombardo, come lingua spontaneamente selezionata dagli umili, sarebbe stata probabilmente una decisione eccessivamente avanguardista che avrebbe sicuramente incontrato numerosissime critiche. Meglio, dunque, organizzare una ricerca sul parlato delle classi colte, "sciacquare i panni in Arno" (sebbene l'insofferenza della figlia Giulia avesse costretto Manzoni a fare ritorno a Milano dopo solo un mese e mezzo di permanenza a Firenze), inserire anacoluti, dislocazioni, tratti demotici facilmente comprensibili ai più.

4) il narratore extradiegetico e onnisciente: chi narra la storia è esterno alla vicenda raccontata nel romanzo, parla in terza persona di eventi accaduti almeno vent'anni prima, sa tutto ed è in grado di prevedere, e anche di suggerire al lettore, la prossima evoluzione di una determinata vicenda. Il punto di vista è quasi sempre quello del narratore, sebbene ogni tanto egli conceda qualche possibilità anche ad una focalizzazione interna. Tutta la realtà viene filtrata dal giudizio di questo deus extra machina: un giudizio che si esprime non solo attraverso le sequenze riflessive, il "cantuccio" in cui avvengono i più o meno lunghi monologhi sul senso della vita e della storia, ma anche con l'utilizzo di determinati aggettivi esornativi, di figure retoriche di significato, di descrizioni particolareggiate.


A PARTIRE DAL 1827

Una volta che i romanzi di Walter Scott furono tradotti e diffusi anche in Italia, incontrando il gusto dei lettori più colti e meno colti, inevitabilmente esplose la moda del romanzo storico, corroborata, a fine decennio, dalla pubblicazione della Ventisettana de I promessi sposi.

I romantici membri dell'élite intellettuale italiana della prima metà dell'Ottocento avevano una particolare predilezione per il Medioevo, l'epoca in cui nasce l'italico patriottismo, l'idea di un'unità di lingua, cultura e religione, da rispolverare proprio quando occorreva battersi definitivamente per la libertà, combattere il tiranno straniero per l'unità di tutto il popolo sotto un'unica corona.

Inoltre, l'affermazione del genere del romanzo era sintomatica del desiderio degli uomini di lettere di sprovincializzare la letteratura italiana, per troppi secoli ancorata a forme e stilemi della classicità: “Il romanzo storico appare un po’ più tardi come conseguenza di tale rinnovamento letterario, e cioè per l’assorbimento entro la struttura tradizionale del romanzo (che anche nel Settecento poteva avere argomenti storici a fondamento: si ricordi il romanzo di Alessandro Verri, Le notti romane al sepolcro degli Scipioni)” (PETROCCHI, 1967: 16).

Da quel ‘fatale’ 1827 i romanzi storici prendono a uscire in copia sempre maggiore, e ad un certo momento non si contano più. Alcuni titoli:

  • I Lambertazzi e i Geremei, le fazioni di Bologna nel secolo XIII (1830) di Defendente Sacchi;
  • La Monaca di Monza di Giovanni Rosini (amplificazione dell’episodio di Gertrude, 1829);
  • L’Ebreo di Verona di padre Antonio Bresciani (1850);
  • Ginevra di Antonio Ranieri (1839);
  • Il Duca d’Atene di Niccolò Tommaseo (1837);
  • Margherita Pusterla di Cesare Cantù (1838);
  • Ettore Fieramosca di Massimo D'Azeglio (1830).

La frenesia del romanzo storico informò, però, quasi tutto il XIX secolo, sebbene lo stesso Manzoni, in uno scritto pubblicato nel 1845, ma scritto già intorno al 1830, aveva sancito la definitiva inservibilità del romanzo storico. Questo genere certamente si prefigge di fornire una rappresentazione compiuta della verità storica, ma essendo il prodotto dell'estro creativo di un autore, obbediente alla sua particolare poetica, può limitarsi alla rappresentazione del "verosimile", concetto non congruente con quello di "realtà storica" (Un'estratto significativo dello scritto manzoniano viene contenuto in LATTARULO et alii, 1978: 105-111).

Copertina di un'edizione a stampa del 1939 del romanzo di Francesco Domenico Guerrazzi dal titolo Pasquale Paoli

Tali considerazioni manzoniane non determinarono comunque un calo significativo della pubblicazioni di romanzi storici proprio in un momento storico in cui le istanze risorgimentali stavano portando a compimento il processo di unificazione nazionale attraverso le Guerre d'Indipendenza. Ne sono una dimostrazione i romanzi di Francesco Domenico Guerrazzi (1804-1873), scrittore livornese, di una generazione più giovane del Manzoni, le cui opere più che prose d'arte letteraria sembrano "pamphlet patriottici", che procedono in una direzione diametralmente opposta all'osservanza delle norme di composizione del romanzo storico. 
Il carattere polemico e impetuoso del Guerrazzi era corroborato da un acceso spirito patriottico che lo indusse nel 1849 ad occupare una posizione di responsabilità nell'ambito del governo provvisorio del Gran Ducato di Toscana, a cui successe per lui una condanna per tradimento all'esilio in Corsica. Nel 1827 si unì al coro dei più rappresentativi autori di romanzi storici con la pubblicazione de La battaglia di Benevento, racconto del fatale scontro tra le truppe dell'esercito svevo, guidate da Manfredi, e quelle di Carlo D'Angio, a seguito del quale scontro il nobile francese divenne il nuovo sovrano del Meridione. A questo primo importante romanzo seguirono altri: L'assedio di Firenze (1836), Veronica Cybo (1837) e Pasquale Paoli, pubblicato per la prima volta postumo nel 1883. 
Per il Guerrazzi fu fondamentale veicolare il messaggio patriottico, enfatizzando sequenze narrative di episodi memorabili, senza alterare però la verità storica. Per il romanziere livornese valeva l'atteggiamento che fu proprio di Vittorio Alfieri, ovvero sentirsi l'intellettuale chiamato alla guida morale e culturale del popolo. 
Per soddisfare l'eventuale curiosità dei nostri lettori sullo stile di questo autore fuori dal canone, riportiamo una porzione del testo dal romanzo L'assedio di Firenze, con l'incipit della sequenza in cui vengono raccontati gli ultimi attimi della vita di Niccolò Machiavelli:

- E già tardammo anche troppo - soggiunse Luigi Alemanni: e così favellando, prese per braccio il Buondelmonti, e salirono.
Non incontravano persona, né udivano passo, o articolare parola: una lampada appesa alla volta della sala ardeva solitaria, prossima a morire. Appena v'ebbero posto il piede i due amici, si avvivò, mandò sulle nude pareti un getto di luce, quasi volesse dire: contemplate la povertà di Niccolò Machiavelli, e si spense, allora ristettero pensosi e meditarono, se quella miseria, o il grande che la soffriva maggiormente, onorasse, o i suoi concittadini che gliela lasciavano sopportare, vituperasse. Percossi da insolito silenzio, si avvolgono per una serie di stanze prive di lume: alla fine giungono in parte dove vedono scaturire una striscia di luce, si accostano all'uscio ed aprono (testo in LATTARULO et alii, 1978: 105).
 
La personificazione del lume solitario che si anima e si smorza quasi secondo desideri di una volontà sovrumana; la salita al piano superiore diluita in dieci stringhe di testo; i pensieri dei protagonisti sulla scena palesati dal narratore extradiegetico; il repentino cambiamento di tempo storico, dal passato remoto al presente storico: sono tutti elementi che caratterizzano il testo di romanzi come questo, caratterizzati da lunghe, particolareggiate e quasi insopportabili sequenze descrittive.

CONCLUSIONE

Con buona pace di Manzoni e le sue teorie sul romanzo storico, se si è mai verificata una vera e propria battuta di arresto per la sua corsa verso l'acme della popolarità, questa è stata causata dall'affermazione della poetica verista di una nuova generazioni di scrittori, rappresentata da Luigi Capuana e Giovanni Verga: l'attenzione totale per le condizioni umane delle classi subalterne, l'esigenza di documentare la realtà quotidiana di contadini, operai e umili pescatori è un'istanza che prevale nettamente su qualsiasi interesse storico. Non parliamo poi del romanzo decadente, degli Andrea Sperelli, dei Tullio Hermil, di tutti quei superuomini dietro i quali si nascondeva un autore per cui la vita è tutta lusso, calma e voluttà.

Tuttavia, nella seconda metà del Novecento si assiste ad un recupero della tradizione del romanzo storico (si vedano Il Gattopardo, 1958, oppure I Segreti dei Gonzaga di Maria Bellonci e La Storia di Elsa Morante, entrambi del 1974).

Più recentemente, i podcast e i libri del prof. Alessandro Barbero, già ordinario di storia medievale presso l'Università statale di Torino, hanno avuto il merito di avvicinare l'italiano di cultura media al culto della storia. 

Ciò che contraddistingue la divulgazione di Barbero è però la sua straordinaria capacità di narrare l'evento storico, facendo rivivere magicamente interazioni umane, atmosfere e personaggi.

E dunque, cosa sancisce la fortuna o la sfortuna del romanzo storico?

In considerazione del fatto che la ridottissima percentuale dei lettori italiani della prima metà del XIX era composta quasi prevalentemente da uomini di cultura, in grado anche di apprezzare il virtuosismo di uno scrittore nella stesura di lunghe e dettagliate sequenze descrittive, possiamo avanzare l'ipotesi che il suo successo fosse del tutto interno alla cerchia dei colti. 

Una nuova fortuna del romanzo storico è oggi possibile, a patto di mettere da parte l'obbligo di qualsiasi tipo di requisito formale.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

  • BALDI G./GIUSSO S./RAZETTI M./ZACCARIA G. (2012), Il piacere dei testi. L’età napoleonica e il Romanticismo, vol. 4, Milano, Pearson Paravia, p. 482-3;
  • DE FEDERICIS L. (1998), Letteratura e storia, Bari, Laterza;
  • GANERI M. (1999), Il romanzo storico in Italia. Il dibattito critico dalle origini al postmoderno, Lecce, Piero Manni editore;
  • PETROCCHI G. (1967), Il romanzo storico nell’800 italiano, Roma, Edizioni Rai;
  • LATTARULO L. et alii (1978), Il romanzo storico, Roma, Editori riuniti;
  • LUKACS G. (1972), Il romanzo storico, Torino, Einaudi 1972.

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